Sì, è vero, gira e rigira parlo sempre di lui, del pittore diabolico, del cantore del male, l’antieroe dell’arte moderna. Come un ladruncolo, uno spettro, un folletto dispettoso, Francis Bacon s’intrufola a cadenze frequenti e inaspettate tra le pagine di questo blog, e io mi lascio inevitabilmente condurre nel suo mondo segreto, ossessivo, impenetrabile – il suo mondo d’incubi a occhi aperti. Stavolta, però, non si tratta di rievocare brandelli sparsi della sua vita movimentata, o far luce su qualche strano aneddoto a margine di un quadro. Stavolta la faccenda si presenta sotto tutt’altro aspetto, dato che mi riguarda in prima persona : è da qualche settimana, infatti, che tengo nel mio appartamento il poster incorniciato di un suo dipinto.
Questa riproduzione su carta, concepita in occasione di una mostra su Francis Bacon e Lucian Freud tenuta a fine 2019 nel Chiostro del Bramante, a Roma, mi era stata regalata già un paio d’anni fa, ma piuttosto che portarmela in casa avevo preferito lasciarla stazionare ancora impacchettata in garage, dove oltre alla macchina conservo un coacervo d’oggetti di svariata natura : vecchie coperte spelacchiate, valigioni da viaggio, provviste alimentari d’importazione, qualche attrezzo da bricolage… e prodotti artistici derivati. A frenarmi, vi confesso, era il pensiero di dover trovare al poster una collocazione adeguata tra le mura domestiche, e data la mia totale incompetenza in fatto d’arredamento e design d’interni mi ero risolto con il temporeggiare oltremisura. Finché un giorno dello scorso gennaio, complice forse l’entusiasmo d’inizio anno, ho deciso che era venuto il momento di conferirgli il rispetto che merita, sicché adesso me lo ritrovo appoggiato al suolo in soggiorno, nell’attesa d’inchiodarlo definitivamente a una parete – se nel soggiorno stesso o in camera da letto, questo non lo so ancora.

Francis Bacon
1961. Olio su tela
Al di là tuttavia delle questioni logistiche e della mia inguaribile indolenza, resta il mistero, resta l’inquietudine, restano i colori foschi, le pennellate decise, la pesante claustrofobia ; resta quell’uomo che siede, muto, al centro di una stanza dalle proporzioni distorte. Francis Bacon lo dipinse nel 1961, a cinquant’anni suonati, quando il mercato dell’arte aveva iniziato a sorridergli ma il vero successo non era ancora arrivato. Solamente un decennio più tardi, infatti, grazie alla grande retrospettiva presso il Grand Palais di Parigi, i suoi ritratti di papi indemoniati, toreri in azione, amori infelici e carcasse appese avrebbero avuto la consacrazione internazionale.
A differenza però di altri suoi personaggi dipinti, quello che ora mi guarda nel soggiorno di casa non rimanda a nessuno di conosciuto o identificabile : trattasi del ritratto di un anonimo, forse ispirato a un lontano amico dell’artista, un committente di passaggio, un amante clandestino, oppure a una semplice fotografia ricavata da uno dei tantissimi libri o fogli sparsi di giornale che intasavano il suo studio londinese. A giudicare dal modo in cui è rappresentato, la postura sghemba, lo sguardo vuoto, l’abbigliamento severo, a giudicare dai suoi tratti del volto inumani, bestiali, a tal punto sconvolti da parere quelli di un cavallo, si direbbe una burla, la triste caricatura di un gentiluomo britannico. Ma con Bacon le cose vanno così, a controcorrente, come in un sogno strambo partorito da una cattiva digestione ; e ciò che talvolta sembra pura allucinazione, può in realtà nascondere una dimostrazione d’affetto. Se non addirittura uno sconfessato autoritratto.
Un’opera d’arte, seppure riproduzione, non deve avere mai una collocazione “d’arredamento”. Molti tendono a comprare un dipinto magari perchè ha una bella cornice che si arreda al loro arredamento casalingo. L’arte non può essere ingabbiata in una cornice ma deve spaziare libera in un contesto senza limiti.