Incontro con il gallerista Paul Ripoche

Da qualche tempo a questa parte, oltre a interessarmi ad artisti, musei e mostre, sto cercando di capire come funziona il lato nascosto del pianeta arte, vale a dire ciò che sta dietro al magnifico scenario di pittori bohemien e ballerine innamorate che mi ero ingenuamente costruito nella testa. L’arte, oggi più che mai, prima di rappresentare la vetta massima dell’attività umana, è un grande business, un affare di mercato, un’enorme questione di soldi ; e come tale, pertanto, viene comprata, venduta, promossa da professionisti del tutto assimilabili a dei mercanti : i gestori delle gallerie d’arte, comunemente conosciuti come galleristi.

Di galleristi famosi la storia dell’arte n’è piena, partendo dai mitici Daniel-Heinrich Kahnweiler e Paul Rosenberg, scopritori di artisti straordinari quali Picasso, Braque e Matisse, fino al contemporaneo e potentissimo David Zwirner. Incuriosito da un mestiere talmente atipico, punto d’incontro tra divulgazione culturale e pura impresa di commercio, recentemente ho deciso di far visita a un uomo che si è da poco lanciato in questo tipo di carriera. Paul Ripoche, direttore dell’omonima galleria d’arte Paul Ripoche situata al numero 6 della rue Burdeau, a Lione. Attiva da giugno 2018 nel quartiere più artistico della città, la Croix-Rousse, corrispettivo lionese del pariginissimo Montmartre, la galleria Paul Ripoche rappresenta una scuderia di artisti contemporanei ampiamente noti ma anche talenti emergenti o meno considerati.

Paul Ripoche
Paul Ripoche

Il mio primo incontro con Paul Ripoche è avvenuto settembre scorso, in occasione di una fiera d’arte, ma la nostra bella chiacchierata – a chiamarla intervista mi pare di sopravvalutarmi : dopotutto non sono mica un giornalista – si è svolta presso la galleria stessa un venerdì pomeriggio di metà dicembre, poco prima delle vacanze di Natale. Ad aprire la discussione, intuirete facilmente, è stata la mia domanda sul percorso che ha portato il Sig. Ripoche alla direzione di una galleria d’arte.

Nell’epoca in cui hanno ormai inventato scuole e corsi per qualsiasi genere di professione, anche per le professioni inesistenti, al mestiere di gallerista pare che ciascuno acceda ancora con i propri mezzi, formandosi sul campo : l’amore per l’arte certamente non deve mancare, ma soprattutto, trattandosi di un’attività di vendita, requisito indispensabile è un forte spirito commerciale. Nel caso di Paul Ripoche, l’idea di aprire una galleria d’arte è nata prima di tutto dal desiderio d’indipendenza lavorativa. A poco più di quarant’anni, dopo studi universitari sui mestieri della cultura e un’esperienza pluriennale nella pubblica amministrazione come direttore del museo della stampa di Gravelines, comune nel nord della Francia, Ripoche ha deciso di rimettersi in gioco, trovare un proprio spazio, fare affidamento solo su se stesso. E questo, badate, con tutti i rischi che comporta la libera professione : se non fatturi, non campi.

A quel punto della conversazione, provocatorio come sono, mi è quasi parso spontaneo domandare al mio interlocutore perché non gli fosse venuto in mente di lanciare un concessionario di automobili usate ; dopotutto, se si trattava solamente della voglia di mettersi in proprio… insomma, vendere un prodotto piuttosto che un altro avrebbe fatto differenza ? Le automobili non sono la stessa cosa di un quadro, mi rispondeva lui sornione, aggiungendo peraltro che i quadri non sono tutti uguali tra loro. Una galleria d’arte, nell’immagine che mi trasmetteva Paul Ripoche, non è solamente un negozio di stampe, sculture e quadri messi in bella mostra per stimolare l’acquisto ; una galleria è anche uno spazio che riflette le conoscenze e il gusto del gallerista stesso : troverebbe impossibile, Ripoche, riuscire a vendere un’opera di un artista a lui ignoto, o un’opera a suo parere manifestamente brutta.

La linea artistica seguita dalla galleria Paul Ripoche, oppure, detto più biecamente, la sua offerta commerciale, è quindi impostata sul disegno e la pittura su carta. La predilezione per questo tipo di supporto, tra l’altro molto in voga nell’arte contemporanea, deriva dalle competenze acquisite dal gallerista nel periodo in cui lavorava al museo della stampa. La carta, materiale da sempre utilizzato dai pittori quale semplice banco di prova, supporto per studi e schizzi, terreno di una sperimentazione che arrivava al compimento finale sulla classica tela, sta oggi vivendo una sorta di revival. Il suo carattere modesto e malleabile fa della carta un elemento di lavoro che gli artisti percepiscono ora come vicino, facilmente accessibile, immediato. E per questa ragione, adatto a dar corpo alla loro intimità.

Paul Ripoche (a destra) in compagnia degli artisti Claire Borde e Laurent Karagueuzian

Tutte le opere che vedevo esposte nella galleria Paul Ripoche, pertanto, erano state selezionate in base a questo primo criterio prettamente materiale – si trattava di opere su carta – ma anche a seconda di due parametri che attenevano più la sfera personale del gallerista. Bella, un’opera d’arte deve anzitutto essere bella, o per meglio dire : deve andare incontro al gusto del gallerista, e indirettamente a quello dei potenziali clienti. Altrimenti, spiace dirlo, è molto difficile che riesca a trovare spazio nel mercato dell’arte.

L’altro fattore per lui fondamentale nella scelta di un artista con cui collaborare, mi spiegava Paul Ripoche, tocca invece un aspetto meno legato all’estetica e alla creatività. In linguaggio aziendale lo si chiamerebbe la motivazione del candidato al posto di lavoro, ma ammetto che così espresso, oltre a suonare davvero brutto, sarebbe altresì riduttivo. Niente artisti dilettanti, pittori della domenica o creativi a tempo perso ; la galleria Paul Ripoche ospita i lavori di uomini e donne che producono dell’arte per passione, su questo non ci sono dubbi, ma in egual misura anche per soldi. Artisti di professione, insomma : persone che concepiscono l’arte come un modo di esprimere se stesse, ma anche come la loro principale fonte di sostentamento.

Bisogna avere fame, estremizzavo nuovamente io, per tirare fuori il capolavoro ? Non si tratta veramente di avere fame, rimbeccava il gallerista, è piuttosto una questione che attiene la serietà, l’impegno, il livello di coinvolgimento dell’artista. Quando ci si dedica a un’attività, e nel presente caso l’attività artistica, per aspirare ai migliori risultati bisogna metterci tutte le energie, corpo e anima, e questo è molto difficile che avvenga se al contempo si svolge un secondo lavoro. Eppure, commentavo, sono tanti gli artisti, i grandi artisti, che per sbarcare il lunario svolgono un altro mestiere. Gauguin, mi veniva in mente, Paul Gauguin che da giovane faceva l’impiegato presso un’agenzia di cambio a Parigi : di giorno a lavorare in ufficio, la sera e i fine settimana alle prese con colori e pennelli.

Certamente, concludeva Paul Ripoche, Gauguin infatti realizzerà le sue opere maggiori nei momenti più difficili, trovandosi in ristrettezze, abbandonato il confort di una professione sicura per darsi completamente alla creazione artistica ; e con questa tentare di sopravvivere. Ora i suoi quadri sono esposti in musei di tutto il mondo, e se messi all’asta raggiungono quotazioni vertiginose. Ciò che funziona meglio, ciò che spinge con maggior violenza le persone a superarsi, d’altronde, è ancora il puro e semplice bisogno di soldi. A sostenerlo non sono io, ma un intellettuale considerato tra i maggiori della nostra epoca. Michel Houellebecq : uno che del mercato culturale, considerate le vendite dei suoi libri, pare averci capito qualcosa.

Pubblicità

2 risposte a "Incontro con il gallerista Paul Ripoche"

  1. Houellebecq è certamente un provocatore, l’artista ottiene il meglio dalle sue opere quando è consapevole che la creatività nulla ha da spartire con il business che si fa nel mondo dell’arte ma agisce con la pienezza del suo talento ed opera con la bacchetta rabdomante della genialità. D’accordo pienamente quando si suggerisce di fare esclusivamente arte senza dedicarsi ad altro. L’arte intesa come professione, anche se definire arte una professione è opinabile, così come è opinabile definire alcuni soggetti “galleristi” soltanto perchè imbastiscono “mostricciattole” perché si tratta solo di individui che offrono i loro spazi dietro compenso, non hanno clientela (intesa come collezionisti) e non sono nemmeno capaci di presentare gli artisti…

  2. Oggi purtroppo fare l’artista e basta diventa sempre più difficile..
    Ricordo quando si vendevano le lito, le xilografie, le puntesecche, le acqueforti, le serigrafie, riuscivano ad integrare la mancata vendita magari di un nostro dipinto.
    L’artista era a tutto tondo, come l’arte stessa e la cultura per l’arte…
    Oggi vedo solo business, pseudo artisti, e grandi paroloni per giustificare l’espressione..
    Come artista, seguo ogni vicenda rappresenti il linguaggio espressivo in ogni sua forma, ma vedo sempre meno idee, e sempre meno pittori e scultori, solo gente improvvisata, e critici e galleristi che cercano di inventarsi qualcosa…
    L’aspetto educativo latita, senza di esso nulla potrà formare e continuare l’evoluzione dell’arte.
    La mancanza di cultura verso l’arte, sta impoverendo la società, con un conseguente arrabattarsi per cercare di parlare ancora d’arte e creare..
    Certo ci sono nuove generazioni d’artisti volenterosi, ma sono poca cosa, cosi come l’ambiente decaduto e impoverito..
    Ricordo quando per partecipare alla Biennale di Venezia, alla Triennale di Milano e alla Quadriennale di Roma, dovevi passare selezioni incredibili, forse talune troppo rigide, ma li o era un’artista altrimenti a casa…
    Povera arte..

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...