Le rare volte che vado alle fiere d’arte, vi confesso, mi piace ciondolare tra gli stand degli espositori con aria distaccata e un poco odiosa, l’aria dell’intenditore difficilmente impressionabile. Se non mi do importanza in questo genere di eventi, d’altronde, non vedo come potrei farlo altrove : resto pur sempre un milanese orgoglioso e anche un filo vanesio.
Aldilà del mio atteggiamento sgradevole, comunque, vero è che i saloni d’arte contemporanea accolgono spesso una grande quantità di roba che con l’arte, la vera arte, ha in fondo poco a che fare. Se ne vedono di tutti i colori, pastrocchi psichedelici, pittura astratta venduta al chilo, collage realizzati con i materiali più impensabili – dalle paperelle di gomma alle scatole di preservativi – e infinite rivisitazioni fotografiche di Marilyn Monroe piegata a novanta o del bel faccione di Serge Gainsbourg. La moda del momento, poi, devono essere i disegni d’ispirazione puerile, quelli che paiono trafugati da qualche asilo infantile ma che in realtà, a sentire i loro autori, sono il risultato di anni e anni di ricerca creativa : dopotutto anche Pablo Picasso ammetteva che il suo sogno più grande era di riuscire a dipingere con la spontaneità di un bambino.
Sguardo altezzoso e mento aggrottato, l’espressione del perfetto idiota, sabato di settimana scorsa mi aggiravo per gli stand di una fiera d’arte di Lione, la città in cui vivo, quando sono d’improvviso capitato su una serie di quadri che uscivano dall’ordinario. E questo, badate, non per merito di qualche curiosa sperimentazione figurativa, oppure la stravaganza del loro supporto materiale, oppure, ci mancherebbe, il prezzo cui i quadri ammontavano. A impressionarmi, nei dipinti che scoprivo, era l’originalità dei soggetti rappresentati.
Libri, i quadri in esposizione ritraevano dei libri. Entrare nel piccolo stand dell’artista, credetemi, era allora come entrare in una minuscola biblioteca : uno spazio, nel grande salone fieristico, dedicato a un’attività che va pian piano scomparendo, la lettura su carta. Autrice della curiosa collezione di quadri era una pittrice francese, L. Gédon, dove la L puntata sta per Lucie : forse per questioni di riservatezza, la matura signora preferiva presentarsi con il nome abbreviato, come del resto rimaneva molto sul vago quando si trattava di rispondere alle mie domande riguardanti la sua formazione e il suo percorso artistico. Da giovane aveva studiato all’accademia di belle arti di Parigi, mi spiegava velocemente, mentre adesso vive e lavora in una località a quaranta chilometri dalla capitale francese. Quello che tuttavia mi premeva sapere, indovinerete facilmente, era il motivo di una scelta talmente singolare : libri, perché dipingere dei libri – oggetti che solitamente nel campo pittorico sono rilegati a meri dettagli ?
Questa piccola, magnifica ossessione bibliofila si è sviluppata nell’artista nel corso del tempo, non certo da una decisione repentina e radicale. Da ritratti di persone, ambienti, paesaggi, l’attenzione della pittrice si è man mano concentrata su particolari inanimati, quelli che gli specialisti chiamano ancora nature morte, arrivando infine a focalizzarsi su di un unico soggetto. E così, da ormai più di cinque anni, L. Gédon dipinge libri, libri, libri… libri singoli ritratti in quadretti larghi pochi centimetri, quasi a ricordare gli antichi santini di cartone, oppure, su tele più grandi, mucchi di libri che accatastati gli uni sugli altri paiono involarsi in spirali meravigliose, talvolta in direzione di una finestra aperta e talvolta in direzione della pura astrazione. Insomma, i libri viaggiano e fanno viaggiare.
L’affetto verso questi particolarissimi oggetti, principali custodi dello scibile umano prima che il digitale rivoluzionasse l’immagazzinamento dati, è stato trasmesso all’artista dal padre, appassionato collezionista bibliofilo. Molti dei volumi che compaiono nei suoi quadri appartengono di conseguenza alla biblioteca paterna, patrimonio ereditario che si tramanda di generazione in generazione nella famiglia Gédon, mentre altri derivano da semplici prestiti. Una volta, pensate, uno scrittore vanitoso le ha persino commissionato il ritratto di tre sue opere, cosa che ha costituito un’eccezione per l’artista francese. Dei libri che dipinge, infatti, è impossibile identificare il titolo, l’autore, il genere cui appartengono : il loro anonimato ne assicura così il carattere di oggetti universali.
Ma oltre a ritrarli su tela, le buttavo lì in tono scherzoso, i libri li legge anche ? Sì, certamente che li legge, mi rispondeva seria la pittrice, precisando tra l’altro il suo vivo interesse per saggi d’argomento socioeconomico. In un angolo dello stand espositivo, nascosto dietro una piccola sedia, notavo finalmente un libro vero, di quelli di carta stampata. Un’antologia di racconti dello scrittore americano Charles Bukowski. E quello, domandavo, legge anche quello ? Terribile, commentava lei strabuzzando gli occhi, quello è davvero terribile !
Libri come ali, come foglie d’autunno: qualcosa che ti porta in cielo o che ti ricongiunge alla terra, qualcosa che ti sospinge oltre …
Ti rinnovo i miei complimenti. Finalmente una pittrice che dipinge libri!
Grazie Adriana 🙂