Kazuo Ishiguro. Ho scoperto questo autore, malgrado i suoi romanzi fossero già da parecchi anni tra i più letti al mondo, quando ormai era impossibile non accorgersi di lui : insignito nel 2017 della massima onorificenza cui uno scrittore possa aspirare, il premio Nobel per la letteratura, a ogni sua nuova pubblicazione viene accolto da bande e fanfare, tanto da essere considerato fra i massimi eredi della ricca tradizione narrativa in lingua inglese. E per un uomo che porta un nome come il suo, dalle assonanze per nulla anglosassoni, il merito è ancor più sorprendente. Nato infatti l’8 novembre 1954 nella città di Nagasaki, in Giappone, Kazuo Ishiguro all’età di cinque anni si trasferì con i genitori nel Regno Unito, paese di cui assimilò lingua, cultura e costumi fino a ottenerne la cittadinanza nel 1982.
Il mio approccio a Ishiguro è iniziato dalla sua opera più celebre, il doloroso viaggio nel passato di un vecchio maggiordomo inglese intitolato Quel che resta del giorno, ed è proseguito poi con lo struggente Non lasciarmi, riuscitissimo impasto di fantascienza e romanzo di formazione ambientato nell’Inghilterra rurale. Ma il libro di cui oggi voglio parlarvi, a differenza dei due appena citati, risale a quando lo scrittore non era ancora una celebrità internazionale ma un giovane di belle speranze, con all’attivo la pubblicazione di un primo romanzo più qualche breve racconto e lavori sparsi per la televisione britannica. Edito nel 1986, Un artista del mondo fluttuante segnalò il talento dell’autore anglo-nipponico al pubblico d’oltremanica, fruttandogli altresì il Whitbread Book of the Year Award e una nomination al prestigioso Booker Prize. Il mio interessamento verso questo romanzo lungo poco più di duecento pagine, indovinerete facilmente, nasce dall’abile mélange di arte e letteratura evocato già dal titolo : a venir raccontata, infatti, nello stile pacato e suggestivo tipico d’Ishiguro, è la storia di un anziano pittore giapponese che all’indomani della seconda guerra mondiale ripensa al proprio percorso artistico e umano, mettendo in questione alcune scelte e prese di posizione passate.
Nel Giappone ancora scosso dal trauma dei bombardamenti americani ma attraversato da un forte desiderio di rinascita, lui, Masuji Ono, trascorre tranquillo le giornate nella sua grande casa su una collina ai margini di un’imprecisata città, dove di tanto in tanto riceve la visita delle due figlie adulte e del vivace nipotino. Le inquietudini che il suo paese sta affrontando paiono toccarlo di striscio, scivolare via senza ostacoli ; ad accompagnarlo è piuttosto un sentimento delicato, una vaga malinconia cui lui stesso fatica a trovare spiegazione. Man mano tuttavia che i mesi passano, dall’ottobre 1948 all’aprile 1949, poi al novembre 1949, infine al giugno 1950, questo apparente equilibro viene messo in crisi.
Sono il rivedere certi luoghi, lo scoprire i cambiamenti in atto, il percepire le evoluzioni nelle mentalità, sono incontri voluti o fortuiti con vecchi colleghi, condiscepoli o semplici compagni di scorribande persi di vista che riportano alla memoria del protagonista episodi della sua vita d’anteguerra. Lì allora, tra ricordi leggeri e malcelato rimorso, nell’anziano pittore qualcosa inizia a scricchiolare ; lì viene rievocato il suo apprendistato presso il maestro Mori-san, sostenitore di un’arte antitradizionalista e aperta alle influenze straniere ; lì riverbera la sua amicizia con l’insicuro Nakahara ; lì spuntano le ombre della sua compromissione con la politica militarista del Giappone imperiale ; e lì, soprattutto, rivivono le sue notti brave nei quartieri del piacere, lontane esperienze di un mondo ormai scomparso, il “mondo fluttuante” cui appunto fa riferimento il titolo del libro. E se la penna d’Ishiguro si tiene discosta dalla retorica storica, come anche dalla trappola del facile sentimentalismo, l’illustrazione d’epoca che ne risulta è precisa e intrigante. Da consumarsi preferibilmente alle cinque di pomeriggio, l’ora del sake e biscotti.