Ancor prima di compiere vent’anni, aveva già sofferto le pene che molte persone non soffrono nel corso d’una vita intera. La tisi gli aveva portato via la madre davanti ai suoi stessi occhi, a scuola era una catastrofe, frequenti crisi di nervi gli rendevano insopportabile il quotidiano, il padre lo disprezzava e picchiava regolarmente ; persino il suo tentativo di suicidio aveva fatto cilecca. Fosse divenuto un reietto, un poco di buono, un alcolizzato, addirittura un criminale, come non riuscire a compatirlo ?
E invece lui aveva trovato la forza di combattere i propri demoni, lui aveva scoperto come trasformare le proprie angosce e paure in qualcosa di profondo, unico, originalissimo, qualcosa che a suo modo poteva essere considerato bello. Dedicando la propria vita alla pittura, al disegno, alla scrittura, dedicando la propria vita all’arte, Alfred Kubin aveva potuto tenere a bada i pensieri più bui che non gli davano pace, e dare una personalissima espressione a ciò che medici e studiosi dell’epoca si sforzavano di sondare con gli strumenti della scienza, gli abissi dell’animo umano.
Era nato nel 1877 in una cittadina della Boemia, regione dell’Europa centrale oggi facente parte della Repubblica Ceca e allora inglobata nell’Impero austro-ungarico, ma presto si era spostato con la famiglia prima a Salisburgo e poi a Zell am See, villaggio a 700 metri d’altitudine adagiato tra i declivi delle Alpi Nord-orientali e le sponde di un lago. Suo padre, ufficiale dell’esercito imperiale riconvertito in geometra a servizio del governo, vi era stato trasferito in pianta stabile, e così il piccolo Alfred lo aveva seguito con la madre pianista.

Alfred Kubin
1901/02. Inchiostro, acquarello e spray su carta
Gli anni della prima infanzia erano trascorsi senza troppi intoppi, tra qualche marachella a scuola e la gelosia verso le sorelle più giovani, ma la sfortuna volle che un evento traumatico perturbasse la vaga spensieratezza in cui era fino ad allora vissuto. Alfred Kubin aveva infatti appena dieci anni allorché fu testimone dell’atroce calvario patito dall’amatissima madre, spirata nel proprio letto di malattia polmonare : la vista della donna agonizzante, poi della sua salma trascinata per casa dal padre in preda alla disperazione, provocò in lui uno shock talmente forte da segnarlo per il resto dei suoi giorni.
Da lì divenne instabile, irrequieto, introverso, insomma il ragazzino recalcitrante agli obblighi scolastici e attirato dalla violenza dei cataclismi naturali, i temporali, gli incendi, gli straripamenti di fiumi ; ancor più intensa, poi, era la fascinazione che provava verso i corpi in decomposizione ripescati nel lago o le carcasse d’animali esposte in macelleria. A placare i suoi tormenti, o per meglio dire a offrirgli un poco di distrazione, pareva essere l’attività immaginativa, fonte delle sue prime prove artistiche : il giovane Kubin aveva iniziato a disegnare.

Alfred Kubin
1900/01. Inchiostro, acquarello e spray su carta
Ma la morte della zia, che suo padre aveva sposato in seconde nozze a un anno dal decesso della moglie, e soprattutto il rapporto conflittuale con la tata della sua sorellina, complicarono ulteriormente la già difficile situazione famigliare, al punto che il genitore decise di mandarlo a studiare presso la scuola d’arti decorative di Salisburgo – probabilmente mosso più dal desiderio di sbarazzarsene presto che da sincera apprensione paterna. Qui i suoi risultati scolastici migliorarono, e stare lontano dalle botte del padre gli fece solo del bene ; quando poi gli venne proposto d’entrare come apprendista presso lo studio fotografico d’uno zio adottivo, accolse l’opportunità con grande entusiasmo. E se della tecnica fotografica riuscì a imparare poco e niente, confinato com’era a mansioni di pura manovalanza, quattro anni di lavoro in bottega gli servirono a conoscere meglio le dinamiche interpersonali.

Alfred Kubin
1902. Inchiostro, acquarello e spray su carta
L’avvicinarsi all’età adulta, tuttavia, non placò le sue trepidazioni ed esplosioni d’angoscia, le quali con il tempo si aggravarono portandolo addirittura a un passo dal togliersi la vita – fu l’inceppamento della rivoltella con cui provò a spararsi in testa che lo fece desistere dal terribile proposito. E quindi cosa fare, all’alba dei vent’anni, emotivamente fragile e senza veri progetti per il futuro ? Fu su consiglio d’un vecchio amico di famiglia, nonché grazie al bel gruzzoletto di denaro ricevuto in eredità dai nonni, che nel 1898 Alfred Kubin scelse d’iscriversi all’Accademia di pittura di Monaco di Baviera. Lui a dire il vero non ci aveva pensato, non aveva pensato di fare dell’arte la propria professione : disegnare gli piaceva, aveva anche un certo talento, ma mai avrebbe immaginato che fosse quella la sua strada.
Eppure, una volta giunto nella capitale bavarese e visitata la vecchia pinacoteca cittadina, gli si schiuse davanti agli occhi un mondo nuovo, veloce, esuberante, un mondo di feste, concerti, circoli d’intellettuali, teatri di varietà, un mondo da cui egli fu subito avvinto. Alle lezioni in Accademia andava poco, preferiva lavorare per conto proprio, oppure bighellonare per musei e gallerie d’arte e scoprire le opere di quelli che sarebbero diventati i suoi pittori di riferimento : Max Klinger, James Ensor, Odilon Redon e l’immancabile Francisco Goya. Nei momenti di solitudine, invece, quando le vecchie insicurezze tornavano a farsi sentire, trovava consolazione nella lettura ; Arthur Schopenhauer, all’epoca il filosofo di lingua tedesca più in voga, era l’autore che considerava per favorito, alla stregua d’un padre spirituale.

Alfred Kubin
1902. Inchiostro, acquarello e spray su carta
Malgrado però il grande darsi da fare, malgrado l’ardore che metteva nella propria formazione artistica e intellettuale, Kubin aveva l’impressione di non essere all’altezza della carriera in cui si era imbarcato. Rispetto ai grandi artisti presi a modello, Kubin continuava a sentirsi distante, minuscolo, decisamente inadeguato. Quando allora il ricco amatore d’arte Hans von Weber, conosciuto per il tramite dell’amico poeta Maximilian Dauthendrey, si presentò al suo domicilio e gli acquistò ottanta lavori d’un sol colpo, per lui fu un successo di cui faticò a capacitarsi : stava accadendo veramente ?
Merito del passaparola scaturito dal felice evento, il suo nome iniziò a circolare tra collezionisti e appassionati, e in breve tempo il giovane artista venuto dalle montagne oltreconfine fece breccia nella buona società bavarese. I disegni grigiastri raffiguranti creature mostruose e situazioni grottesche partoriti dalla sua fantasia macabra non corrispondevano certo alle scene solari e colorate solitamente scelte per decorare il salotto di casa, eppure c’era in loro un disagio, una malinconia, un senso d’abbandono, c’era una presenza sinistra, una forza inquietante, un’ironia disperata, l’ironia del condannato a morte che sorride al boia sul patibolo… insomma nelle opere di Alfred Kubin c’erano gli ingredienti giusti per conquistare il pubblico borghese d’inizio ventesimo secolo – lo stesso pubblico che scopriva con interesse gli studi del neurologo Sigmund Freud appena divulgati nel saggio L’interpretazione dei sogni.

Alfred Kubin
1906. Guazzo su carta
Qualche soldo in tasca permette una vita più comoda, oltre l’appagamento del lusso preferito dagli artisti : viaggiare. Berlino, Vienna, Parigi, Francoforte, l’Italia… grazie ai proventi risultanti dalle vendite dei propri lavori, Kubin visitò le città d’arte di mezza Europa, spesso tornandosene a casa con preziosi souvenir. Nonostante tuttavia il nuovo corso che aveva preso la sua carriera, la malasorte pareva non demordere : prima la scomparsa della beneamata fidanzata e promessa sposa, poi quella del padre a cui si era nel frattempo riavvicinato, interruppero il periodo di relativa tranquillità. Il dolore, per quanto ricorrente, è qualcosa cui non ci si abitua, e la perdita del genitore scaraventò l’artista in una tale depressione da rendergli impossibile continuare a disegnare e dipingere. La sua voglia di creare era però inestinguibile, il tarlo che gli rodeva il cervello aveva bisogno di trovare uno sfogo, trovare uno sbocco, trovare espressione, sicché deposti colori, matite e pennelli nell’autunno del 1908 Alfred Kubin si gettò a capofitto in un’attività fino ad allora mai intrapresa, la redazione di un romanzo.
Pochi anni prima che un suo compatriota praghese, impiegato assicurativo con la mania della letteratura, scrivesse di metamorfosi, improbabili processi ed esecuzioni capitali, lui ne anticipava la propensione al mistero e il gusto surreale raccontando la propria esperienza immaginaria nella città di Perla, luogo d’ambientazione di Die andere Seite. Ein Phantastischer Roman (tradotto in italiano con il titolo abbreviato di L’altra parte). Era un sogno che pian piano si trasforma in un incubo, era il viaggio nel paese dei balocchi in versione horror, era la trasposizione sulla pagina scritta dei suoi timori e patimenti più nascosti ; era ed è tuttora una lettura densa, imprevedibile, a tratti confusa, spesso disturbante.
Pubblicato nel 1909 con l’aggiunta d’illustrazioni da lui stesso realizzate, il romanzo fu accolto molto favorevolmente dal pubblico, diventando con il tempo un’opera di riferimento nel genere della narrativa fantastica. E se questa impresa letteraria non convinse Alfred Kubin ad abbandonare le arti figurative a favore della penna e del calamaio, gli aprì le porte del mondo editoriale procurandogli numerose commesse per l’illustrazione di testi altrui, dai racconti dello scrittore americano Edgar Allan Poe al romanzo Il sosia del russo Fëdor Dostoevskij.

Alfred Kubin
1901/02. Inchiostro, acquarello e spray su carta
Rimessosi di nuovo in sella, l’artista tornò a dipingere e disegnare. Ancora sogni, immagini, visioni, ancora figure bizzarre, oggetti rari, luoghi estremi, ancora l’adorazione del sublime, dell’ineffabile, della sofferenza che elude qualsiasi comprensione. E intanto che in Europa si sviluppavano movimenti artistici in aperta rottura con il passato, cubismo, costruttivismo, futurismo, fauvismo, astrattismo, creatività naif, influssi da culture esotiche, lui, dalla sua dimora di Zwickledt, villaggio dell’Austria settentrionale dove si era stabilito nel 1906 con la moglie Hedwig Schmitz, osservava con curiosità il grande fermento senza lasciarsi troppo coinvolgere. Non era tipo d’arruolarsi facilmente sotto un qualche stendardo, o cedere alle tentazioni della moda, ma l’incontro con i pittori Vasilij Kandinskij e Franz Marc lo avvicinò a Der Blaue Reiter (Il cavaliere azzurro), gruppo d’artisti creato a Monaco di Baviera nel 1911 per il quale Kubin realizzerà una serie d’illustrazioni dedicate al profeta biblico Daniele.
A parte però il desiderio di battere strade nuove e farsi trasportare da suggestioni venute da lontano, a scuotere il mondo dell’arte di quegli anni fu un evento dalla portata immane. Era il luglio del 1914 quando scoppiò la prima guerra mondiale. Il conflitto, durato quattro anni e costato la vita a quasi dieci milioni di soldati, toccò in svariate maniere moltissimi artisti e intellettuali : chi opponendosi ostinatamente all’insensata carneficina, chi abbandonandosi all’entusiasmo patriotico ; e chi, come gli sfortunati Franz Marc e Umberto Boccioni, lasciandoci le penne sul campo di battaglia. Prossimo ai quarant’anni e di salute cagionevole, Alfred Kubin riuscì a scampare al reclutamento forzato, niente assalti alla baionetta e vita da trincea per lui, ma ciò che stava accadendo al fronte e tra la società civile non poteva lasciarlo indifferente, anzi egli elaborò dentro di sé l’immensa tragedia collettiva quasi si trattasse d’una malattia.

Alfred Kubin
1910. Inchiostro e guazzo su carta
Le notizie di amici deceduti combattendo gli arrivavano mentre se ne stava ore e ore sdraiato sul divano di casa, incapace di lavorare, immobilizzato in uno stato di torpore, e lui le accoglieva come un indovino che accoglie l’avverarsi di una profezia funesta : l’orrore e la crudeltà dei suoi disegni e dipinti avevano infine preso vita. Questa condizione pietosa fu ancora una volta terreno fertile per profonde elucubrazioni, ispiratrici peraltro di un inatteso exploit. Scavando nella memoria, radunando vecchie idee impolverate e aggiungendovi la violenza in cui il mondo versava, tra il 1915 e il 1916 Kubin produsse una delle sue collezioni di disegni più famose, la Danza dei Morti, tra cui 24 tavole che saranno successivamente editate dal gallerista tedesco Bruno Cassirer a Berlino.

Alfred Kubin
1923. Inchiostro e acquarello su carta
Ma dalla sfera privata la sua sofferenza era ormai sfociata in qualcosa di generalizzato, era diventata crisi esistenziale, facendo vacillare le poche certezze che s’era pian piano costruito. Cos’era quella sensazione d’estraniamento che spesso l’invadeva ? Cos’era quell’indomabile forza che tutto pareva dissolvere ? O forse che la realtà, la natura, le percezioni sensibili, il dolore, non erano altro che una grande illusione, il limite ultimo del pensiero umano ?
Nei testi di Schopenhauer, Nietzsche, Immanuel Kant, nell’illustre tradizione filosofica tedesca l’artista cercava risposte alle sue mille domande, ma soprattutto cercava quell’armonia, quella calma, quella possibilità d’un equilibrio interiore che da sempre sembravano essergli negate. Dove non arrivava l’arte arrivava la speculazione filosofica, e così lui leggeva, leggeva, impregnandosi del forte pessimismo che aveva sancito la fine della belle époque ; finché un giorno, capitatogli tra le mani un saggio dello scrittore Hermann Grimm dedicato al buddismo, ne rimase talmente colpito d’adottarne la dottrina e i precetti in maniera radicale. Chiuso ancor più in se stesso, quando non vagava solitario nella foresta si rincantucciava in un angolino di casa addobbato d’un mucchietto di paglia e un tavolino, e lì trascorreva i giorni e le notti in silenzio, meditando, senza quasi mangiare né dormire : delirio d’una mente balorda o sprofondamento nell’estasi mistica ?

Alfred Kubin
1902/03. Inchiostro, acquarello e spray su carta
L’esperienza durò solamente poco più d’una settimana, ma per lui fu un punto di svolta, il capolinea di una corsa disperata e priva di meta. Impossibile vederci chiaro, vedere la luce dietro le apparenze sensibili ; il velo di mistero che ammantava la realtà rimaneva impenetrabile. Eppure l’acuto ronzio che gli trapanava la testa sembrava essersi affievolito, quietato, il nemico invisibile contro cui l’artista si era lungamente battuto proponeva una tregua. Era, quello, il momento di radunare i confusi pensieri sparsi e tirare avanti.
Gli anni successivi Alfred Kubin proseguì a disegnare e dipingere, proseguì ad avventurarsi nella riflessione filosofica, accostando la propria ricerca artistica e spirituale a quella di stampo scientifico condotta da specialisti psichiatri. Le sue ossessioni e allucinazioni dipinte divennero oggetto di studio, non solo da parte di galleristi e critici d’arte, e lui stesso sviluppò un vivo interesse per la stupefacente creatività delle persone affette da disturbi mentali. Insicuro, lunatico, scomodo alla propaganda nazista che idealizzava invece l’uomo forte e inamovibile, a fine anni ’30 venne inserito nella famosa lista degli artisti degenerati redatta dagli scagnozzi di Adolf Hitler, ma questo non gli impedì di continuare a esporre i propri lavori. E a seconda guerra mondiale finita, considerato ormai al livello dei grandi maestri, venne ammesso nel corpo insegnante dell’Accademia bavarese di Belle Arti. Il fanciullo irrequieto era divenuto l’anziano mite e assennato, sicché quando sentì la morte avvicinarsi, nell’agosto del 1959, egli l’accolse con la tranquillità che si riserva alle cose familiari. La conosceva troppo bene per averne ancora paura.