Il problema, quando si parla di creatività, è che tutto pare essere già stato inventato : le idee migliori e le trovate più geniali già ci sono, già esistono, qualcuno prima di noi ci aveva già pensato, e ciò che una volta apparteneva al dominio della fantascienza ora è perfettamente allineato agli usi e costumi quotidiani. Non prenderemmo infatti per eccentrico, o forse per bugiardo, chi oggi si meravigliasse davanti a un frigorifero, oppure davanti a una stampa tridimensionale ? Avanti, il mondo guarda sempre avanti, guai allora a ripetere le invenzioni del passato : sarebbe infatti come ripetere se stessi.
Nel caso poi della creatività artistica le cose si fanno ancora più radicali, visto che il campo delle possibilità continua a estendere i propri limiti. Prendiamo come esempio la pittura, e nello specifico la pittura non figurativa, la pittura astratta, e tra i moltissimi dipinti astratti che sono stati prodotti negli ultimi settant’anni di storia dell’arte selezioniamo quelli appartenenti a un genere minoritario, praticato da pochi coraggiosi, i monocromi.
Chi fu l’inventore dei monocromi ? Qualcuno sostiene il pittore russo Kazimir Malevič, che nel 1915 a San Pietroburgo espose un suo quadro in cui spiccava una forma geometrica di un’unica tonalità scura : era, nelle intenzione di Malevič, la fondazione di un’arte inedita, un’arte assoluta, del tutto disgiunta dalle apparenze reali. Bastava, questo inatteso exploit, a fare di lui il promotore di un genere che negli anni successivi avrebbe destato tanta attenzione ? La questione rimane ancora aperta, poiché tutti gli artisti che si sono cimentati con la pittura monocroma l’hanno a proprio modo reinventata. Come se ogni tela dipinta integralmente di blu, di nero, di rosso o di bianco fosse la prima di una serie infinita ; o come se fosse la destinazione di un viaggio solitario del pittore negli abissi dell’arte, una personale riflessione sul fare arte portata alle estreme conseguenze. Il monocromo : ecco la pittura ridotta alla sua essenza, ecco la pittura ridotta al mero colore.

Steven Parrino
1988. Acrilico su tela
Da Yves Klein a Robert Ryman, passando per le tele tagliate di Lucio Fontana e le variazioni sul nero di Pierre Soulages, di quadri monocromi ne sono sfilati tanti in questo blog, troppi perché ora li riesca a ricordare uno per uno, ma ogni volta era per me una nuova scoperta, un nuovo mondo che mi si schiudeva davanti agli occhi. Quando così un sabato della primavera scorsa, visitando una mostra presso il Museo d’Arte Contemporanea di Lione, sono incappato nell’ennesimo dipinto monocromo, qualcosa in me ha fatto tic.
Tic ! Vagamente percepibile, esiguo, marginale… Tic ! Venuto da lontano, dai recessi del silenzio, dal vuoto siderale… e poi ancora tic… di rimbalzo… tic… ripetuto… tic… un’altra volta… tic… tic ! … davanti a Turning Blue di Steven Parrino risuona in testa un tocco, un motivo, una debolissima scansione : è un ritmo che si spegne, una musica involontaria, l’allarme della fine di un’epoca ; è il picchiettio flebile e affaticato delle lancette d’un orologio quasi scarico. Allorché Parrino realizzò questo quadro, nel 1988, era un artista di appena trent’anni e con le idee ben chiare su dove sbattere il capo : tutto fuorché le cose semplici.
Nato a New York in una famiglia d’origine italiana, o per essere più precisi d’origine arbëreshë, la minoranza etnica e linguistica albanese insediatasi in Italia meridionale tra il XV e il XVIII secolo d.C., si era formato presso la Parsons School of Design, ma la sua vera scuola era stata quella della subcultura punk, del graffitismo metropolitano, della creatività anarchica ; la scuola della strada. L’East Village, quartiere bohemien nel distretto di Manhattan, nei primi anni ’80 rappresentava il polo d’attrazione per giovani artisti in cerca d’affermazione, e lui, nichilista viscerale rigorosamente abbigliato di nero dalla testa ai piedi, si era meritato un posto tra i più sovversivi. Ancora giovanissimo, quando tutti si sfidavano a chi l’inventava più stramba, si era lanciato in azzardose performance a metà strada tra le bravate goliardiche e i deliri psicotici – far scattare l’allarme antincendio di un edificio e darsela a gambe dalla porta tagliafuoco, oppure fracassare a martellate un impianto televisivo – ma presto aveva orientato la propria sperimentazione artistica verso robe più serie.
All’epoca dell’arte concettuale, dell’arte minimalista, dell’arte troppo cervellotica per essere compresa dal grande pubblico, Steven Parrino si dedicava a una forma espressiva considerata ormai morta, rilegata tra i souvenir d’un mondo scomparso, la pittura : e questo non per riabilitarne l’antico splendore, o rievocarla con sentimento nostalgico, ma per indagarne le cause di decesso e le possibilità di rinascita. I suoi lavori consistevano allora in grandi dipinti monocromi che lui trattava come uno sfasciacarrozze tratta le auto in via di demolizione : gli piaceva fare e disfare, recuperare dei pezzi e gettarne via altri, creare forme distorte, appianare qualsiasi punto di riferimento ; insomma gli piaceva manipolare la materia, enfatizzarne la concretezza, il deperimento, la versatilità.
Così, infiammato da mania decostruttiva, Parrino concepiva un quadro fuori quadro, un quadro scentrato, Turning Blue appunto. A guardarlo anche con occhio distratto, si capisce presto il trucco che vi sta dietro : l’artista aveva colorato una tela tutta di blu, l’aveva staccata dal telaio, l’aveva un poco spiegazzata, e l’aveva infine rimessa al suo posto leggermente sbilenca e sbavata. L’effetto creato non è certo sorprendente, ricorda forse certe illusioni ottiche da baraccone o trovate sceniche. Qui però il gioco sta altrove, il gioco nasce dal rapporto ambiguo che il monocromo instaura con il proprio titolo. Turning Blue, infatti, in inglese può avere due significati, in questo caso entrambi calzanti. “Turn” significa prima di tutto “svolta” o “rotazione”, e nella sua forma verbale “girare” : questo è il blu che gira, dice allora l’artista, questo è il colore in movimento, questa è la pittura che supera i propri limiti dimensionali. Ma nella sua variante figurata, “turn” significa anche “diventare” : Diventando Blu suona quindi il titolo italiano del dipinto, echeggiando di lontano le famose strofe di Domenico Modugno. Forse era da lì, da quella strana assonanza, che il flebilissimo tic m’era entrato nell’orecchio ?