Forse l’inverno scorso è morto l’ultimo Beat, o forse lui un Beat non lo è mai stato. Lawrence Ferlinghetti, scomparso il 22 febbraio 2021 alla veneranda età di 101 anni, non era un uomo che amava le etichette. Si era trovato coinvolto in uno dei più importanti fenomeni artistici e (contro)culturali del ventesimo secolo, quello innescato all’indomani della seconda guerra mondiale da una combriccola di giovanissimi intellettuali anticonformisti di New York, ma lui, Ferlinghetti, si considerò sempre un collaboratore esterno al movimento Beat, un outsider tra gli outsider.
I suoi primi contatti con i capostipiti di questa generazione beata, Jack Kerouac, Allen Ginsberg e Neal Cassady, avvennero a metà degli anni ‘50 a San Francisco, dove egli possedeva una libreria e casa editrice battezzata City Lights in onore del famoso film di Charlie Chaplin. Era stato lui stesso a fondarla insieme a un amico : nel 1953, dopo gli studi universitari in giornalismo e letteratura, interrotti temporaneamente dal servizio nella marina militare durante lo sbarco in Normandia e la Guerra del Pacifico, questo americano d’origini italiane aveva dato il via a una piccola realtà editoriale indipendente, lontana dall’establishment dell’epoca. Sugli scaffali della sua libreria si trovavano infatti volumi tascabili diversi dai soliti gialli e romanzetti di consumo, testi scomodi, duri, problematici, testi che davano scandalo, testi che obbligavano a pensare. Poesia, narrativa sperimentale e saggistica a carattere politico e filosofico ; tutte opere che riflettevano gli ideali anarchici e pacifisti in cui credeva il libraio.

Lawrence Ferlinghetti
1992. Olio su tela
City Lights a San Francisco non era però solo un’impresa commerciale a carattere culturale, ma rappresentava soprattutto un luogo di ritrovo per teste pensanti, giovani scrittori che negli Stati Uniti del boom economico cercavano un’identità non imposta, inventavano alternative al consumismo rampante. Ai valori materialisti e alla cieca fiducia nel progresso tecnologico, questi letterati sognatori opponevano una concezione picaresca della vita, una gaia frugalità, un rinnovato interesse per le religioni orientali, nonché un’inedita disinibizione nell’utilizzo di droghe psichedeliche e nei costumi sessuali. Si covavano idee nuove, in seno alla libreria di Lawrence Ferlinghetti, idee che saranno riprese dalle generazioni successive e reinterpretate in funzione dello spirito del tempo.

Lawrence Ferlinghetti
1995. Acrilico su telo di cotone grigio
E se grazie a City Lights furono dati alle stampe e divulgati alcuni dei capolavori della Beat Generation, Urlo e Altri Poemi di Allen Ginsberg in testa, il libraio editore era a sua volta un instancabile grafomane. Scriveva molto, Ferlinghetti, scriveva racconti, romanzi, drammi, traduzioni letterarie, e soprattutto scriveva versi, versi liberi, impostati secondo una metrica improvvisata a orecchio : proprio come il parlare spontaneo dei Beat, proprio come i ritmi imprevedibili della musica jazz. Pensate che a lui si deve una delle raccolte poetiche di maggior successo del decennio, anzi addirittura del secolo, A Coney Island of the Mindpubblicato nel 1958 e venduto su scala internazionale per oltre un milione di copie. Il suo linguaggio diretto, il suo idealismo sincero, il suo compassionevole umanesimo, in un periodo ancora segnato dalla tragedia della guerra mondiale, fecero breccia nel cuore di tantissimi lettori.

Lawrence Ferlinghetti
1959. Olio su tela
Ma oltre a scrivere, oltre a declamare poesie, oltre a viaggiare, Lawrence Ferlinghetti si dedicava a un’attività molto amata da altri amici Beat benché poco nota ; come Jack Kerouac, come William S. Burroughs, anche Ferlinghetti dipingeva. Il suo interesse per l’arte figurativa risaliva agli studi presso la Columbia University di New York, dove egli aveva lavorato a una tesi sul pittore William Turner e i testi critici di John Ruskin, ma con il tempo la materia di ricerca d’ambito accademico si era per lui trasformata in autentica passione creativa. Al punto che un giorno, invece di mettersi alla macchina da scrivere, il giovane poeta si era procurato del materiale da pittura e aveva iniziato a riempire le tele di spesse pennellate di colore.
La sola scuola d’arte che frequentò fu l’Académie Julien di Parigi, intanto che stava facendo un dottorato all’università Sorbona, ma la sua vera formazione avvenne per strada, osservando i passanti, le automobili in corsa, i grandi edifici delle città occidentali. Non aveva un metodo : dipingeva ciò che gli passava per la testa. Malgrado però il suo rifiuto di seguire una tradizione, malgrado la sua autonomia da accademie e formalismi, nei quadri che Ferlinghetti realizzò in oltre 60 anni d’attività è impossibile non scorgere le influenze delle correnti artistiche allora dominanti. E tra queste, risaltano sicuramente il rigorismo tipico dell’Espressionismo astratto e la radicalità Neo-Dada. Forse, come scrivevo a inizio articolo, febbraio scorso se n’è andato l’ultimo dei Beat, i ragazzi favolosi che sovvertirono il modo di pensare di migliaia di persone. O forse solo un uomo che visse un sogno lungo oltre cent’anni.
beat on the road and through ancient freedom, remembering ” These boots are made for walkin”. The last idea of a lost dream… Third world war has arrived…