Luiso Sturla. Quando l’ho incontrato, ormai otto anni fa, avevo appena aperto il presente blog, e dell’arte moderna e contemporanea possedevo poco più che qualche vaga nozione. Ad animarmi era l’ingenua curiosità per un argomento del tutto nuovo, cui io mi avvicinavo come un giovane esploratore che parte per lande sconosciute munito solamente di una bussola, qualche vecchia mappa e tanto entusiasmo.
Lui, Sturla, malgrado il mio sfacciato dilettantismo aveva comunque accettato di accogliermi nel suo studio, a Chiavari, cittadina ligure che gli diede i natali nel 1930 e in cui egli si è ristabilito in età avanzata dopo una vita in giro per l’Italia, tra Genova, Torino, Firenze e Milano. Dell’intervista che gli ho fatto, vi assicuro, conservo ancora dei ricordi abbastanza vividi ; avevamo parlato del suo percorso artistico, gli studi giovanili, la sua partecipazione al Movimento d’Arte Concreta e soprattutto del soggiorno che fece a New York nel 1960.
Ciò che mi aveva più colpito, tuttavia, a parte lo scoprire dal vivo i suoi magnifici dipinti, era stata una sua allusione all’arte informale. Gli anni ’50, mi aveva raccontato, erano l’epoca dell’informale, e anche lui non poteva che essere influenzato da questa vasta corrente pittorica, al punto da diventarne uno dei principali esponenti italiani. Sul momento, ricordo, apprendendo la notizia avevo semplicemente annuito, forse manifestando anche un poco d’entusiasmo, ma dentro di me esultavo, esultavo come un forsennato : Luiso Sturla, un caposcuola dell’informale in Italia ! Si trattava di uno dei primi artisti che intervistavo, e già capitavo su di un pezzo grosso. Mica male, come roba, non trovate ?
In una notte di vento la luna esce di scena
Luiso Sturla
1985. Olio su tela
Peccato però che a quel tempo la pittura informale mi fosse per lo più sconosciuta, e di conseguenza i grandi quadri di Sturla, per quanto mi paressero vivaci, luminosi, colorati, insomma molto piacevoli da contemplare, in fin dei conti rappresentavano per me dei veri misteri. E nemmeno la lettura della prefazione critica al catalogo delle sue opere, che l’artista mi aveva gentilmente regalato, era servita a mettere ordine tra i miei pensieri : troppe parolone astruse, troppi riferimenti eruditi, troppi concetti lambiccati per un blogger d’arte alle prime armi quale il sottoscritto. Come potevo allora scrivere di lui, di Sturla, se in fondo la sua arte non riuscivo a capirla ? Per paura di tirar fuori solamente baggianate, o cose scopiazzate qua e là, avevo deciso di lasciare il discorso in sospeso, nell’illusoria speranza che magari, un giorno, mi si sarebbero spalancate le porte della conoscenza.
Beh, vi dirò, con il passare degli anni, pur avendo visitato mostre, musei, gallerie, e pur avendo incontrato artisti ed esperti d’arte, le porte della conoscenza non mi si sono ancora aperte, né penso che mi si apriranno a breve. Una piccola lezione, però, credo di averla imparata. L’arte non va considerata come un teorema di matematica o una dottrina filosofica, non ci sono spiegazioni inequivocabili o formule magiche che permettano la comprensione di un’opera o uno stile creativo : un dipinto, una scultura o un’installazione riflettono il sentire del loro artefice, il quale, a sua volta, è influenzato dall’ambiente in cui vive, le persone che lo circondano, il clima culturale dell’epoca. Questi elementi esterni, pertanto, se da soli non forniscono la chiave di lettura di un’opera, possono comunque funzionare quali indizi del processo creativo.
Nel nostro caso, quindi, nel caso di Luiso Sturla, bisogna prima di tutto pensare che si tratta di un pittore cresciuto nell’Italia del secondo dopoguerra, quando il paese era in piena ricostruzione ma non aveva ancora raggiunto la prosperità degli anni ’60. L’arte, come la cultura in generale, viveva in quel periodo una fase di disorientamento : la guerra, le difficoltà economiche, l’instabilità politica avevano fatto venir meno molte credenze consolidate, e gli artisti cercavano nuovi punti di riferimento. Le regole della pittura figurativa, in decadenza già dall’introduzione della tecnica fotografica, erano state definitivamente scompaginate da cubismo e astrattismo, mentre i grandi movimenti d’avanguardia europei d’inizio secolo come espressionismo, futurismo e dadaismo si erano ormai esauriti, repressi dalle dittature nazifasciste o divenuti semplicemente inattuali. Pareva, agli artisti tra la fine degli anni ’40 e i primi ‘50, di trovarsi davanti a un vasto campo di rovine, dove tutto era da ripensare, da ripristinare o addirittura da reinventare di sana pianta : come esprimere, allora, questa sensazione di caos che pervadeva la società civile ?
Dopo gli incendi
Luiso Sturla
1960. Tecnica mista su carta
Alcuni, come Alberto Burri o Jean Dubuffet, decidevano d’impiegare a scopo artistico materiali di recupero e oggetti apparentemente impropri, sgraziati, banali ; altri, invece, come Jean Fautrier o Lucio Fontana, tentavano esperienze ancora più azzardate, arrivando a mettere in crisi l’essenza stessa di opera d’arte. Ma a differenza di quanto accaduto in passato, lo scopo di questi artisti non era d’interrompere una tradizione per iniziarne un’altra, introdurre un nuovo stile con nuove norme, nuovi segni, nuovi alfabeti ; l’inclinazione generale puntava piuttosto alla rottura, la destrutturazione, l’offuscamento. Nei loro quadri non c’erano paesaggi, persone, animali o nature morte, ma non c’erano nemmeno le composizioni geometriche tipiche della corrente astratta : per dirla in maniera cruda, non c’erano forme, ma complesse elaborazioni di materia amorfa. E da qui, appunto, il nome di arte informale.
Per quanto riguarda Luiso Sturla, il suo avvicinamento a questo modo inedito di concepire la pittura, che a ben guardare era anche un modo inedito di concepire la contemporaneità, avvenne alle soglie dei vent’anni, quando con un gruppo di giovani artisti compaesani decise di evadere dalla stretta e calma realtà provinciale del Tigullio per scoprire l’altrove, scoprire la grande città. Fu infatti a Milano che lui, il ragazzo cresciuto tra orti e partite a pallone, formatosi presso il Liceo Artistico Nicolò Barabino di Genova, entrò in contatto con importanti rappresentanti dell’astrattismo italiano e aderì al MAC, il Movimento d’Arte Concreta.
La severità e il rigorismo della corrente astratta, tuttavia, non riuscirono a trattenere a lungo la sua vivacità : Sturla si sentiva troppo libero, si sentiva troppo pittore per imbrigliare il pennello secondo rigide geometrie e canoni preordinati, tanto che nel 1958, in corrispondenza dello scioglimento del MAC, imboccò la strada di una sperimentazione a oltranza, la strada dell’informale.
A spingerlo, oltre alla felice scoperta dei dipinti di alcuni artisti spagnoli e fiorentini, fu il bisogno di mettere nelle proprie opere più se stesso, metterci la propria vita, le proprie emozioni ; fare della pittura un campo d’indagine stilistica ma anche un diario intimo. Ecco allora che i colori, le sfumature, i grovigli, gli impasti materici riflettevano nei suoi quadri il mondo che lo circondava, fosse questo la luce solare, il mare, la natura verdeggiante della nativa Liguria, oppure l’illuminazione artificiale, gli incendi, il traffico urbano di New York, dove egli visse per un anno ed ebbe modo d’assistere alla nascita della Pop art.
Nel blu
Luiso Sturla
2015. Olio su tela
L’aspetto curioso del suo modo di lavorare, peraltro condiviso da altri artisti informali, era il sovvertimento del tradizionale sviluppo creativo. Non si trattava più, per Sturla, di partire da un’idea, trasformarla in un segno e infine renderla su tela per mezzo di un’immagine, non si trattava più di produrre un senso basandosi su elementi fattuali. Scaturito da un’ispirazione temporanea, da una lieve suggestione, magari da un ricordo, il dipinto si creava man mano, cambiava nel corso della propria elaborazione, un rosso diventava un giallo, un verde diventava un blu, materia e pensiero s’inseguivano vicendevolmente alla ricerca di un impossibile punto d’incontro, fino a quando l’artista non decideva che l’opera poteva considerarsi conclusa.
E in tutto questo, in questo grande scavo che il pittore faceva dentro e fuori se stesso, molte domande venivano lasciate in sospeso, rimanevano ampie zone d’ombra : l’arte aveva perso la funzione di rivelare una verità superiore – se mai una verità superiore sia propriamente esistita – ma conservava nondimeno una potentissima carica di mistero.
Con il passare degli anni, poi, nella vita di Sturla si accumulavano i quadri, le mostre, i viaggi, si accumulava il desiderio di tradurre su tela, su carta, persino su ceramica ciò che egli non poteva esprimere a parole. L’acqua, i fiori, gli insetti, i riflessi luminosi sulla superficie del fiume ricorrevano abitualmente nei suoi lavori, come piccole ossessioni che lui riusciva a domare, a domesticare, anzi quasi a rimodellare a proprio volere. Al punto che oggi, a novant’anni compiuti, egli non ha ancora smesso di dipingere ; egli non ha ancora smesso di decostruire le inafferrabili forme che ci danno un’illusione di realtà.
Fantastico Luiso!