Il Paesaggio indomito di Lebadang

Il brutto dei quadri astratti, o dell’arte astratta in generale, è che tutti si credono capace di farli. Basta prendere una tela, possibilmente inutilizzata, dei colori a olio o acrilici, nell’eventualità anche un pennello, e iniziare a impiastrare la superficie bianca con chiazze, linee e schizzi colorati. Tutto, dalla prima all’ultima goccia di colore, tutto è concepito e realizzato in assoluta libertà.

Paesaggio indomito
Paesaggio indomito
Lebadang
Inchiostro e olio su tela

Gli aspiranti astrattisti più motivati, quelli che si sentono in dovere di giustificare il paciugo cromatico di cui sono artefici, talvolta cercano di trovare un significato per i loro dipinti, corredandoli pertanto di ampollose teorie metafisiche. Altri, invece, i più disinvolti, non si prendono neanche la briga d’inventarsi un titolo : astratto è il mio dipinto, sostengono, astratta è l’interpretazione che chiunque può immaginarsi. Bontà loro, disgrazia nostra.

La pratica dell’arte astratta, pratica di per sé innocua, dà quindi vita a una moltitudine di quadri, sculture e installazioni di cui forse, per buona parte, faremmo volentieri anche a meno (come del resto faremmo a meno degli stacchi pubblicitari durante i film in tv, della musica pop sudcoreana o delle code ai caselli autostradali). Di tanto in tanto, tuttavia, pescando nel grande mucchio dell’astrattismo, riesce a saltare fuori anche qualcosa di bello. Qualcosa come il Paesaggio indomito dell’artista franco vietnamita Lebadang.

Scoperto lo scorso inverno al Museo Cernuschi di Parigi, questo dipinto a olio e inchiostro su tela è riuscito a vincere la mia diffidenza verso l’arte non figurativa e guadagnarsi un posto d’onore nel blog : trattasi infatti, se considerate la data, del primo post estivo.

Lebadang, il cui nome occidentalizzato deriva dall’originario vietnamita Lê Bá Đảng, nasce nel 1921 poco distante dalla città di Hué, antica capitale imperiale del Vietnam. La sua è una famiglia di contadini benestanti, probabilmente al giovane vietnamita non sarebbero mancati i mezzi per trovare un lavoro anche senza trasferirsi dall’altra parte del mondo, ma nel 1939 Lebadang decide di venire a vivere in Francia, dove si arruola tra i lavoratori indocinesi volontari che durante la seconda guerra mondiale sostituiscono gli operai francesi partiti al fronte.

Una scelta, il trasferimento in Francia, dettata non solo dallo spirito d’avventura ma anche dal desiderio d’intraprendere studi artistici : terminato il servizio volontario, infatti, il giovane Lebadang s’iscrive all’accademia di belle arti di Tolosa, e allo stesso tempo inizia a lavorare presso una tipografia.

Installatosi a Parigi nel 1948, l’artista vietnamita espone i suoi primi quadri di stampo figurativo, passando poi, sulla scia di grandi maestri come Kandinskij, Mondrian o il contemporaneo Lucio Fontana, a una pittura di tipo astratto. Sperimentatore di materiali variegati, acquarelli, stampe, serigrafie, sculture in terra, vetro, legno, ceramiche e fili di metallo, Lebadang definisce se stesso quale un artigiano dell’arte più che un artista nel senso tradizionale. L’importante è far lavorare le mani, il cervello, la creatività : l’importante è creare, indipendentemente dal giudizio che gli altri possono poi esprimere sul frutto dell’attività creativa.

Le opere di Lebadang, complesse stratificazioni materiche e cromatiche in bilico tra pittura e scultura, iniziano quindi a essere notate da istituzioni museali internazionali ed esposte in giro per il mondo, tanto da meritare al loro artefice una discreta fama in Giappone, Germania, Stati Uniti e nel nativo Vietnam.

Quando poi, tra la fine degli anni ’60 e i primi ’70, il suo paese d’origine diviene il terreno di un conflitto fratricida che vede affrontarsi il Vietnam del nord comunista contro il Vietnam del sud appoggiato dagli Stati Uniti, Lebadang decide di dedicare una serie di dipinti all’enorme tragedia collettiva subita dal proprio popolo. E piuttosto che ricorrere al linguaggio della verità, quello dei crudi reportage fotografici dal fronte di guerra che i giornali dell’epoca faticano a nascondere, lui sceglie il linguaggio dell’astrazione.

Il dolore, la disperazione, la morte sono pertanto raffigurati nel suo Paesaggio indomito sotto forma di un’inquietante colata di colore scuro, grigio tendente al nero : forse l’allucinata veduta aerea di una landa sconquassata dai bombardamenti al napalm, o forse un semplice getto di colore dettato da un improvviso attacco di rabbia. La sola nota accesa nel potente affresco è un breve tratto rosso, una sottile linea rossa verticale che nella simbologia dell’artista indica il sentiero di Ho Chi Minh, una rete stradale segreta utilizzata dalle truppe nordvietnamiti per far transitare clandestinamente gli approvvigionamenti attraverso le impenetrabili montagne. C’è del senso, c’è dell’emozione nella pittura di Lebadang. Forse che una volta di più io riesca a ricredermi sull’arte astratta ?

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6 risposte a "Il Paesaggio indomito di Lebadang"

  1. L’astrattismo è il risultato di una sintesi emozionale figurativa cromatica. Il valido astrattista non configura nell’improvvisazione di linee, forme e colori il discorso artistico, bensì propone tematiche universali con un linguaggio interpretativo maggiormente complesso a livello intellettuale. Non è certamente l’atto di imbrattare una tela con colori e forme facilmente ripetibili. Questo tipo d’arte richiede preparazione accademica di base e conoscenza della pittura tradizionale che si trasformano in un linguaggio apparentemente illeggibile e difficilmente fruibile, ma, che apertamente s’impongono per ritmo, concetti e rappresentazioni di liberi, ma coerenti significati. In buona sostanza, il grande astrattista è un tradizionalista per eccellenza…

    1. Sono d’accordo, spesso però il frutto della ricerca di cui parli è un messaggio di complessa interpretazione. Per questo motivo, probabilmente, molta parte del pubblico fatica ad accettare l’arte astratta.

  2. Trovo molto interessanti i post dedicati all’arte astratta soprattutto quando, come in questo caso, offrono in breve occasioni e strumenti per poterla apprezzare. Io penso che il quadro che hai presentato funzioni con un meccanismo poi non così distante da quello che si può riscontrare in opere di altri generi. Il rivolo rosso, nello specifico, è un vero e proprio chiarificatore del messaggio del dipinto. È come se si portasse all’estremo l’uso di inserire in un quadro oggetti o altri quadri addirittura volti a riempire l’opera di significato; pratica, appunto, molto usata ad esempio nella pittura di genere. Non so se sia sensato affermare una cosa simile, ma per “capire” meglio l’arte astratta potrebbe essere d’aiuto riconoscervi strumenti comunicativi che abbiamo imparato ad interpretare in opere più immediatamente leggibili.

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