Los Angeles, una finzione

Non posso, non sono in grado di descrivere la mostra che il Museo di Arte Contemporanea di Lione dedica in questi giorni alla città di Los Angeles. Posso solamente riportare frammenti sparsi raccolti sul percorso espositivo. Parole, dipinti, sculture, dialoghi di film, installazioni, brani di romanzi o pezzi d’interviste : esposto al MAC Lyon è un itinerario ammaliante e discontinuo nella metropoli che fa dell’assenza di un vero centro la propria ragione di essere, una finzione sterminata quanto la distesa di strade ed edifici bagnata dal sole e dalle lunghe onde dell’oceano Pacifico.

Vedete le palme ?
Ci dicono che tutto è possibile.
Possiamo essere ciò che vogliamo…
Fare ciò che vogliamo…
Ricominciare da zero.

(Dal film Knight of Cups, Terrence Malick)

Inizia con delle palme, due file regolari di palme che fiancheggiano una strada battuta da grosse macchine decapottabili circolanti in entrambi i sensi. Qualche sportivo che corre, qualcuno che porta a spasso il cane, i pochi sopravissuti a una notte brava che ancora ciondolano in giro. E poi case, grandi case, ville maestose e miserabili baracche : c’è di tutto, ai bordi della pista di cemento, il lusso più sfrenato e l’inguaribile povertà. Persone che hanno sete di champagne e persone che hanno fame di pane. Al termine della strada, prima che il paesaggio si dilegui nella spessa nebbia provocata dalle emissioni di anidride carbonica, è ancora possibile scorgere il profilo di una collina, un promontorio da cui iniziano già a spuntare i primi raggi del mattino. L’alba su Los Angeles, la città degli angeli, il paradiso delle palme : voi come ve la immaginate, l’alba su Los Angeles ?

Il Retro di Hollywood
Il Retro di Hollywod
Ed Ruscha
1977. Olio su tela

Un momento, aspettate a rispondermi, forse ho intravisto qualcosa : eccola, la gigantesca insegna, la targa che prima di definire un luogo inspira un sogno, evoca l’idea, stabilisce una leggenda. Hollywood. La mecca del cinema : meta di speranze e implacabile collimatore di desideri infranti. Tutti vengono a Hollywood, cantava Madonna : stavolta, però, qualcuno ha pensato di scriverla al rovescio, la gigantesca insegna, qualcuno ha pensato di mostrarci il retro del set cinematografico, il backstage, il dietro le quinto della devastante industria dello spettacolo. Ed Ruscha, uno dei più influenti artisti operanti in California, dipinge il Retro di Hollywood su una tela larga quanto uno schermo cinematografico.

Dei jet decollavano dall’aeroporto nel senso sbagliato, il rumore dei motori non attraversava il cielo là dove avrebbe dovuto, talché i sogni di tutti ne erano perturbati – o perlomeno, quando le persone riuscivano ad addormentarsi.
(Thomas Pynchon, da Vizio di forma)

Thomas Pynchon è riconosciuto come uno dei più grandi scrittori americani viventi, in lista per il Premio Nobel ormai da diversi anni, ma pochi sono i lettori che riescono ad arrivare al termine dei suoi densissimi libri. Anche il film tratto dal suo romanzo Vizio di forma (spiagge, California, omicidi, sogni, incubi, sesso e tanta marijuana) soffre dello stesso difetto : è duro da mandare giù in un solo boccone.

Yeah I know...
Yeah I know…
John Baldessari
2015. Stampa a getto di inchiostro verniciata e acrilico su tela

Guidando su una strada di Los Angeles, ho visto un cartello segnaletico leggibile a più di 800 metri. Vi erano riportate solamente una o due parole. A Los Angeles, le persone hanno l’abitudine di leggere delle parole isolate, in caratteri molto grandi, da parecchio distante, passandoci velocemente davanti. L’opposto di New York, dove ci s’informa leggendo il giornale sopra la spalla di qualcuno nel metro.
(Kenneth Goldsmith, da Mi interesso alla teoria solo dopo aver realizzato che qualcuno ha consacrato tutta la propria vita a una questione che fino ad allora avevo appena considerato)

Di nuovo loro, le strade. Los Angeles non è una città a misura d’uomo : è una città a misura di automobilista. Contando più di 4 milioni di abitanti, ha una rete metropolitana decisamente sottosviluppata e dei mezzi di superficie costantemente imbottigliati nel traffico. Le strade. Passando diverse ore nei propri veicoli per recarsi al lavoro, sotto il sole bollente della California, gli abitanti di Los Angeles possono autosomministrarsi dosi massicce di pubblicità radiofonica, o contemplare di passaggio grandi cartelli promozionali. Artisti quali John Baldessari si sono allora appropriati della retorica pubblicitaria per condirci i propri collage postmoderni : l’arte parla la lingua del commercio, del gioco, della reclame. A Los Angeles l’arte parla la lingua di tutti.

I'm Getting the Fuck Out of Here
I’m Getting the Fuck Out of Here
Stanya Kahn
2016. Gesso, vernice vinilica e pastello a olio su tela

Non era più in grado di distinguere il blu in cui era immerso dal blu in vinile che riveste il fondo di una piscina.
(Mary Rinebold Copeland, da Tones on Tail – You Can’t Be Funky)

Caldo, a Los Angeles fa troppo caldo. Colpa della siccità, dell’inquinamento, degli incendi che periodicamente mangiano via porzioni importanti di foresta. E il caldo provoca stanchezza, malattia, miseria. Il caldo provoca una paura tremenda.

La pittrice Stanya Kahn la conosce bene, la paura provocata dal caldo. Nei suoi quadri quella paura è rappresentata da un antico simbolo colorato chiamato Uroburos, un serpente stilizzato che si mangia la coda : il cerchio della vita che divora se stessa, ovvero le difficili sfide climatiche e politiche in cui è sempre più implicato il governo californiano. Tempi duri, con questa storia del riscaldamento globale. L’artista dal canto suo pare non preoccuparsene più di tanto, come indica anche il titolo di una delle sue opere più famose : I’m Getting the Fuck Out of Here, che in italiano letterario può essere tradotto come Io Mi Levo dai Coglioni.

Culla resuscitata
Culla Resuscitata
Kaari Upson
2016. Silicone, pigmento, capelli, fibra di vetro

Intanto che guidava, il paesaggio cambiava poco a poco attorno a lui. Inizialmente, le vecchie strade fantasiose del centro di Los Angeles lasciarono spazio al dedalo incomprensibile dei bassifondi e delle cittadine secondarie, a cui non seguì nulla di speciale se si esclude la lunga autostrada. Stazioni di servizio, Denny’s, Del Tacos, supermercati discount, depositi di legname. Alberi, muri, recinzioni.
(James Sallis, da Drive)

Agli americani piace comprare : sono un popolo di consumatori compulsivi. Case, macchine, mobili, cibo, elettrodomestici, aggeggi di ogni sorta. L’importante è spendere, l’importante è comprare. Una mia vecchia coinquilina, dopo aver vissuto due anni negli Stati Uniti, mi disse che gli americani chiedono prestiti in banca o finanziamenti per qualsiasi tipo di acquisti. Anche per farsi un divano nuovo ! mi raccontava lei.

Non rappresenta un divano ma un materasso, la Culla Resuscitata dell’artista Kaari Upson. Una scultura che è il calco in silicone, peli, capelli e fibra di vetro ottenuto a partire da un materasso rinvenuto in una strada di Los Angeles. L’oggetto che meglio rappresenta l’intimità dell’ambiente domestico diventa il modello per un’opera d’arte forse leggermente sgradevole : un materasso ricreato artificialmente (come se i materassi esistessero già in natura) non è certo l’ideale di bellezza, ma quantomeno non puzza.

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Una risposta a "Los Angeles, una finzione"

  1. los angeles e l’america non sappresenta solo l’opportunità in senso materiale ma anche in senso morale di dare una speranza! L’articolo è interessante perché esprime un opinione, che però io non ocndivido minimamente! Immagino quante persone abbiamo sognato di vivere a los angeles o anche solo negli USA. Nel dopoguerra molti italiani hanno trovato il lavoro negli USA…

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