Cacchio che male ! Vi immaginate di mozzarvi un orecchio ? Zac ! E il padiglione auricolare parte via. Poco sangue, tanto dolore. Per compiere un gesto del genere, più che coraggiosi bisogna essere davvero matti. Matti da legare. Matti come degli artisti matti : matti come il pittore olandese Vincent Van Gogh, che durante una delle sue crisi di follia, nel 1888, si mozzò parte dell’orecchio. Il motivo del suo atto autolesionista ? Forse una lite con l’amico artista Paul Gauguin, o forse l’aver appreso che il fratello Theo era in procinto di sposarsi. Va a sapere cosa passava nella testa del povero Vincent… Quando il genio incontra il pazzo, a farne le spese è l’orecchio, l’innocente e timido orecchio. Passati più di cent’anni dalla morte dell’artista, il raccapricciante episodio è tuttora fonte di morbosa fascinazione, tanto da spingere qualcuno a un curioso esperimento. Un esperimento alla Frankenstein. Far rivivere l’orecchio di Vincent Van Gogh.
Promotrice del progetto è l’artista tedesca Diemut Strebe, a ben vedere più appassionata di genetica e di filosofia antica che di letteratura gotica o gusto splatter. L’ispirazione per quest’opera a metà tra l’installazione artistica e la sperimentazione scientifica, infatti, le è venuta ripensando a un celebre paradosso della filosofia antica, il paradosso della nave di Teseo. Conoscete Teseo ? Sì, proprio lui, quello del labirinto e del Minotauro. Ebbene, narra la leggenda che alla nave di legno del celebre eroe greco fossero nel corso del tempo sostituiti tutti i componenti, cosicché dell’imbarcazione originaria a un certo punto non restasse che la forma. E da qui il paradosso : fino a che punto un corpo conserva la propria forma, mantiene la propria identità, se gli vengono cambiati tutti gli elementi costitutivi ? Una questione tanto più problematica se applicata a un corpo umano, inevitabilmente sottomesso al passare degli anni : un giorno è magro e un giorno è grasso, un giorno è giovane e un giorno è vecchio, un giorno è abbronzato e un giorno è pallido, un giorno è prestante e un giorno è flaccido… e via dicendo fino al giorno che non è più.
L’esperimento di Diemut Strebe consiste proprio nel dar corpo a questo paradosso, e guarda caso la scelta del corpo da ricreare è ricaduta sul celebre pittore olandese. O piuttosto sul suo celebre orecchio. La ricostruzione genetica della piccola parte anatomica è partita da dei campioni di saliva rintracciati su una busta utilizzata (leccata) da Vincent Van Gogh nel 1883, rivelatisi purtroppo inattendibili. L’artista tedesca si è allora rivolta al pro-pro-nipote del fratello di Vincent Van Gogh, Lieuwe Van Gogh, il quale condivide con il pro-pro-zio un sedicesimo degli stessi geni : mi doneresti un po’ di cartilagine del tuo orecchio ? Dolce e lodevole è il sacrificio in nome dell’arte e della scienza. Lieuwe accetta con entusiasmo la proposta della Strebe, rivivendo su di sé la celebre esperienza dell’antenato picchiatello. Grazie alle cellule vive ricreate partendo dai campioni forniti da Lieuwe Van Gogh e a un calco in 3-D modellato in base alle foto computerizzate del pittore, Diemut Strebe realizza Sugababe, replica vivente del famoso orecchio.
Attualmente esibito al Centre for Art and Media di Karlsruhe, in Germania, Sugababe è connesso a un processore informatico dotato di un programma che lo rende sensibile ai suoni esterni. Parlategli e l’orecchio di Van Gogh produrrà degli impulsi nervosi in tempo reale. Niente fesserie, vi prego : il primo a rivolgergli la parola, il 20 maggio 2014, giorno di inaugurazione della mostra, è stato il grande linguista americano Noam Chomsky. Ma siamo sicuri che Vincent Van Gogh capisse l’inglese ?
2 risposte a "Come ti ricostruisco l’orecchio di Van Gogh"