Coi tempi che corrono, data la mancanza di grandi opportunità di svago, ognuno s’inventa quello che può. Da parte mia, chiusi bar, musei e discoteche, ho deciso di rivedermi alcuni classici del cinema che avevo scoperto da adolescente : una maniera, questa, non solo di fare un salto nel passato, ma anche di ammirare i vecchi film con un occhio diverso, un occhio più sensibile a certi dettagli che all’epoca sicuramente mi erano sfuggiti. Domenica scorsa, figuratevi, sono andato a ripescare una delle pellicole di maggior successo del cinema italiano, passata alla Storia sia per le sue innegabili qualità artistiche sia per il polverone che tirò su al momento della sua uscita nelle sale.

Francis Bacon
1964. Olio su tela
Ultimo tango a Parigi (1972), il dramma a sfondo erotico che valse al regista Bernardo Bertolucci la consacrazione a livello internazionale nonché una condanna a quattro mesi di detenzione per offesa al comune senso del pudore. Culi, tette, sodomia, uomini e donne che se ne dicono di tutti i colori, cazzo, figa, puttana… e la famosa trovata del burro : insomma con Ultimo tango a Parigi Bertolucci se l’andò proprio a cercare.
Ciò che mi ha impressionato, tuttavia, riguardando questo capolavoro, viene prima di qualsiasi scena di sesso, prima di quei tetri interni domestici dove cova ed esplode il focoso malessere dei protagonisti, prima ancora della carrellata iniziale che cade a picco sul volto di Marlon Brando urlante per strada. Già durante titoli di testa, infatti, intanto che sulla bellissima musica di Gato Barbieri sfilano i nomi degli attori e delle attrici principali e della troupe cinematografica, avviene qualcosa che non può lasciare indifferente un appassionato d’arte moderna quale il sottoscritto : ma quello… quello non è un dipinto che conosco ? Un uomo reclinato su una poltrona e con il viso sfigurato, lo stile mi ricorda qualcuno… eh, eccone un altro ! Stavolta si tratta di una donna seduta con le gambe accavallate, il volto sempre irriconoscibile… Ma sì, è davvero lui, è davvero Bacon !
Proprio così, a introduzione del film Bernardo Bertolucci scelse di mostrare in sequenza due quadri del pittore britannico Francis Bacon, Ritratto di Lucian Freud e Studio per un Ritratto di Isabel Rawsthorne. E questo, badate, non come semplice omaggio a uno degli artisti allora in piena ascesa, tantomeno ai soggetti ritratti – a loro volta personalità della cultura inglese del tempo. Ma allora perché proprio quelle due opere pittoriche sfilanti l’una dopo l’altra, e infine accostate come un dittico ?

Francis Bacon
1964. Olio su tela
Il regista italiano vide entrambi i dipinti dal vivo poco prima d’iniziare le riprese, nel corso della retrospettiva personale che nel 1971 il Grand Palais di Parigi dedicava al pittore, e ne rimase talmente colpito da decidere di farli scoprire anche al direttore della fotografia Vittorio Storaro e all’attore Marlon Brando. Ecco il forte impatto visivo cui doveva tendere la pellicola, confidava Bertolucci a Storaro ; ma ecco soprattutto l’intenso dolore che doveva comunicare l’interpretazione del protagonista, confidava invece a Brando.
Guardando Ultimo tango a Parigi con occhio consapevole, si ritrovano effettivamente diversi motivi ricorrenti nella pittura di Francis Bacon : non paiono infatti uscire da un suo quadro, quei colori talvolta eclatanti e talvolta slavati, quei personaggi isolati al centro della scena, quegli ambienti spogli e polverosi, quelle facce distorte da smorfie grottesche, quell’illuminazione incerta, a tratti irrealistica ? Impossibile rilevare tutte le somiglianze, le citazioni, forse le semplici coincidenze, tuttavia il debito del film nei confronti dell’artista britannico non si limita al piano figurativo – non si limita a ciò che appare in evidenza. Al contrario: si rivela tanto più forte, tanto più dirompente, non in ciò che viene detto o rappresentato, bensì in ciò che è semplicemente alluso o lasciato all’immaginazione dello spettatore. Perché al pari della pittura di Bacon, anche Ultimo tango a Parigi è il frutto di un sogno, di una fantasia, di un’emozione : e in quanto tale va preso senza porsi domande, trattato con estrema disinvoltura, consumato solo con il cuore. Consumato come si consuma un’opera d’arte.
Forse come in Bacon, l’intento di Bertolucci era ossessionare i canoni dell’erotismo nell’apoteosi carnale di un essere ancora vivo, ma sul viale del tramonto, ultimo canto del cigno malinconicamente in declino…