Giorni difficili, questi giorni. Sono settimane che ho la testa altrove, in ufficio, nei bar, per strada, e non riesco a concentrarmi su ciò che veramente conta, sulle cose belle. Sarà la stanchezza, mi dico, lo sbadigliamento compulsivo che mi assale dopo le nove di sera, oppure quel bisogno di adrenalina, quell’urgenza d’emozioni che cerco invano di sfogare nei weekend. Su e giù, su e giù va il mio umore… come il cibo mal digerito che mi sobbalza nello stomaco quando esco a correre di primo pomeriggio.

Filippo de Pisis
1920. Olio su cartone
Una piccola pausa da questo vuoto andirivieni sono riuscito a prendermela un giorno di novembre, durante una breve scappata a Milano, quando ho visitato una delle mostre che più mi hanno colpito lo scorso anno : la retrospettiva che in questo periodo, fino al primo marzo 2020, il Museo del Novecento dedica al pittore e poeta Filippo de Pisis. Di lui, di de Pisis, confesso che fino ad allora conoscevo poco e niente. Alcuni suoi quadri li avevo già visti in giro, nella discreta confusione di qualche museo d’arte moderna, probabilmente la GAM di Milano o il Mambo di Bologna, ma a essere sincero non mi avevano mai detto granché : forse perché scoperti isolatamente, magari accostati a quelli più sgargianti di altri artisti a lui contemporanei, mi erano parsi poco consistenti, insipidi, superficiali. Insomma, mi ero a malapena accorto di loro.
Filippo de Pisis, ho imparato visitando l’esposizione, è un artista che richiede pazienza, non uno di quelli che ti colpiscono al cuore già al primo sguardo ; va osservato attentamente, frequentato con calma, e solo da una sua conoscenza più approfondita possono nascere affetto e considerazione, se non vero e proprio amore. Indefinibile e personalissimo, il suo stile fu influenzato dalle correnti creative più diffuse tra fine diciannovesimo e inizio ventesimo secolo, soprattutto il tardo impressionismo e la pittura metafisica, ma non si concesse del tutto mai a nessuna di loro, preferendo conservare quella leggerezza che un occhio distratto può scambiare per scarso spessore.

Filippo de Pisis
1928. Olio su tela
Nato a Ferrara nel 1896, terzogenito di una famiglia aristocratica, ancora adolescente Filippo de Pisis manifesta un istintivo trasporto verso le cose del mondo, il mondo che sta fuori, il creato, la Natura, ma anche il mondo interiore, l’intimità dell’essere umano, accessibile mediante la ricerca introspettiva. Interesse scientifico e sensibilità poetica per una volta non generano contrasto, il giovane ferrarese cataloga fiori e piante in un personale erbario e con uguale entusiasmo scrive brevi racconti e poemi in prosa che attirano l’attenzione degli intellettuali gravitanti attorno alle riviste letterarie fiorentine La Voce e Lacerba.

Filippo de Pisis
1927. Olio su tela
Ma tutto questo, tutta questa grande laboriosità, non basta a placare il suo ardore intellettuale. Praticare un’attività artistica, che sia suonare uno strumento musicale o dipingere, per un rampollo di buona famiglia d’inizio Novecento è qualcosa di quasi scontato, e nel caso di de Pisis la preferenza va al disegno, insegnatoli da maestri privati. Studia, scrive e dipinge : il giovanissimo ferrarese è avviato verso un promettente avvenire, eppure lui stesso non sembra avere idee molto chiare a riguardo. Malgrado la diversità delle sue passioni e gli eccellenti risultati che queste gli permettono di ottenere, de Pisis esita a lungo, forse una vita intera, prima di decidersi su quale sia l’ambito più adatto a esprimere la propria creatività – o detto in maniera più semplice, su cosa fare da grande. Pittore o scrittore ?
Divenuto maggiorenne, piuttosto che iscriversi a un’accademia di belle arti sceglie di studiare alla facoltà di Lettere di Bologna, dove entra in contatto con importanti esponenti della cultura dell’epoca : i poeti Umberto Saba e Marino Moretti, lo scrittore Giuseppe Raimondi e i fratelli artisti Giorgio de Chirico e Alberto Savinio. La pittura di de Chirico e Savinio, la pittura metafisica, esercita un forte ascendente su di lui, tanto che in moltissime sue opere, non solamente in quelle giovanili, si trovano spunti, citazioni o anche semplici dettagli che rimandano a questa singolare corrente artistica. Non genera infatti un senso di estraneità e d’inquietudine velata di nostalgia, caratteristiche tipiche della pittura metafisica, il suo quadro L’archeologo del 1928 ?

Filippo de Pisis
1947. Olio su tela
Da Bologna Filippo de Pisis si sposta Roma, dove ha modo di ammirare le meraviglie conservate in musei e chiese e tenere la sua prima esposizione personale presso la Casa d’Arte Bragaglia, mentre nel 1925 va ad abitare a Parigi, a quel tempo polo artistico di livello mondiale. Durante il suo soggiorno nella capitale francese, durato fino allo scoppio della seconda guerra mondiale nel 1939 e intervallato da vacanze estive in Italia, a Venezia, Roma, Bologna e Cortina, il pittore dà massima prova del proprio talento. Deve essere la frequentazione di alcuni dei maggiori artisti e scrittori europei – Picasso, Matisse, Svevo, Joyce, Comisso, Cocteau, o il ritrovato de Chirico – oppure la scoperta dei capolavori dei maestri impressionisti… oppure, ipotesi più romantica, l’influenza che possono esercitare su di uno spirito sognatore i vicoletti ripidi di Montmartre, la trionfale architettura urbana ereditata dal Secondo Impero e il crogiuolo etnico e culturale di certi quartieri… quale che ne sia il motivo, o la concatenazione di motivi, a Parigi Filippo de Pisis trova il campo ideale per raggiunge la piena maturità artistica.

Filippo de Pisis
1929. Olio su cartone telato
Non c’è un tema di predilezione nella sua pittura, e come anticipato non c’è una scuola o corrente cui l’artista faccia esclusivo riferimento : de Pisis dipinge qualsiasi cosa attiri la sua attenzione, si tratti di vedute cittadine, oggetti d’uso comune o uno dei variegati personaggi che gli capita d’incontrare nelle peregrinazioni diurne e notturne, avventori di osterie, marinai, montanari o viaggiatori dai tratti esotici. Più che cercare la bellezza disseminata nel quotidiano, o catturare un’impressione visiva momentanea, fotografare l’istante presente alla maniera di Manet o Renoir, lui crea un dialogo tra mondo sensibile e soggettività, traccia una corrispondenza tra realtà esterna e stati d’animo. Lo sguardo spaurito di un uomo, il cielo grigio che incombe sui flutti marini, le rovine di un monumento antico affondato nella sabbia… seguendo la lezione di Giorgio de Chirico, Filippo de Pisis identifica situazioni ed elementi ordinari quali chiavi d’interpretazione della propria individualità, della propria coscienza profonda, e li rappresenta su tela con pennellate lievi e velocissime ispirate alla tecnica impressionista.

Filippo de Pisis
1941. Olio su tavola
Nel settembre del 1939, con l’invasione della Polonia da parte delle truppe tedesche, inizia la seconda guerra mondiale, e l’Europa diviene in breve tempo un immenso campo di battaglia. De Pisis, italiano emigrato in Francia, ritiene opportuno riparare nel proprio paese d’origine, di conseguenza da Parigi si trasferisce in diverse località del nord Italia : Bologna, Rimini, Vicenza, Milano e infine Venezia, eletta a sua città di residenza fino al 1948. In seguito a questo decennio di transizione, ricco comunque di notevoli prove d’artista, decide di tornare nella capitale francese, ma le cose qui sono ormai cambiate. Parigi ha ceduto il posto di capitale artistica mondiale a New York, e De Pisis non trova più l’aria che vi respirava un tempo.
Malato e amareggiato per la discriminazione subita a causa della sua omosessualità – gli viene negato il Gran Premio della Giuria alla XXV Biennale di Venezia – nel 1949 è internato presso la casa di cura Villa Fiorita a Brugherio, in prossimità di Milano, e cinque anni dopo presso la clinica psichiatrica di Villa Turro. Nonostante i suoi gravi disturbi di salute, tuttavia, Filippo de Pisis continua a dipingere, continua a pensare, continua a creare. Quando finalmente si spegne, il 2 aprile del 1956, a qualcuno sorge la domanda : è morto un pittore o è morto un poeta ?
Semplicemente il 2 aprile 1956 morì un’artista perchè un pittore è sempre anche un poeta (anche se non scrivesse un solo verso) ed un poeta è anche un pittore in quanto dipinge in poesia le emozioni e la bellezza. Oggi che l’omosessualità non è più considerata un tabù, avrebbe vinto quel premio, sicuramente non nacque nel periodo giusto …