Per me è ormai diventata un’abitudine, quasi un rito. Quando alle vacanze pasquali rientro a Milano, città di cui sono originario, mi piace cogliere l’occasione per vedere una delle belle mostre in corso a Palazzo Reale. Così fu tre anni fa con la mostra su Umberto Boccioni, così fu l’anno scorso con quella – meravigliosa – su Albrecht Dürer, così è stato quest’anno con Jean Auguste Dominique Ingres. Il sabato prima di Pasqua, infatti, ho visitato l’esposizione che Palazzo Reale dedica attualmente all’illustre pittore francese.

J.A.D. Ingres
1799. Olio su tela
Di Ingres, vi confesso, fino a quel momento avevo visto soltanto qualche dipinto al Museo d’Orsay di Parigi e il celebre Il bagno turco conservato al Louvre, il suo nome lo associavo per lo più ad altri artisti dei quali si dice fu un’importante fonte d’ispirazione : Fernand Khnopff, Pablo Picasso e l’immancabile Francis Bacon. Immaginerete allora la curiosità con cui mi sono recato alla mostra milanese ; finalmente avrei scoperto la storia dell’uomo che viene considerato tra i più grandi maestri dell’arte moderna, e al contempo avrei ammirato alcuni dei suoi capolavori. Le cose, tuttavia, non sono andate proprio come avevo pensato, ma questo, lo ammetto, non si è rivelato necessariamente un male.
Dice bene il titolo dell’esposizione, Jean Auguste Dominique Ingres e la vita artistica al tempo di Napoleone, anche se a invertire i termini che lo compongono si renderebbe meglio giustizia alla mostra : quella di Palazzo Reale, infatti, non è una monografia sul pittore francese, ma una panoramica sull’arte in Italia e Francia a cavallo tra diciottesimo e diciannovesimo secolo filtrata attraverso la straordinaria sensibilità di Ingres. La vita artistica al tempo di Napoleone e Jean Auguste Dominique Ingres : ecco, così il titolo suonerebbe decisamente più corretto.

J.A.D. Ingres
1813. Olio su tela
Delle oltre 150 opere esposte, tra dipinti, disegni, schizzi preparatori e sculture, solamente poco più di 60 appartengono al grande maestro francese, le altre sono lavori di artisti a lui contemporanei tra i quali figurano il grandissimo Jacques-Louis David, Andrea Appiani, Antonio Canova, Anne-Louis Girodet e la pittrice Élisabeth-Louise Vigée Le Brun. Ad aleggiare su tutta la mostra, ad aleggiare su tutta l’epoca presa in esame, è un fenomeno culturale che in passato fu spesso sminuito, considerato quale una semplice moda nostalgica. Il Neoclassismo, ovvero il recupero di tematiche e canoni artistici antichi, provenienti soprattutto dall’arte grecoromana, per un loro aggiornamento al presente.
Sull’onda delle scoperte archeologiche a Pompei ed Ercolano e la crisi dello stile barocco, sul finire del diciottesimo secolo diversi artisti presero a modello la pittura, l’architettura e la statuaria antiche e ne diedero una propria, magnifica interpretazione. Campione di questa corrente artistica, che non s’identificò mai in una vera e propria scuola, fu il pittore francese Jacques-Louis David (1748 – 1825), presso il quale Jean Auguste Dominique Ingres trascorse una fase importante della sua formazione.

Jacques-Louis David
1780. Olio su tela
Nato nel 1780 a Montauban, cittadina nel sudovest della Francia, e passato per l’accademia di belle arti di Tolosa, Ingres arrivò nello studio parigino di David ancora giovanissimo, ad appena diciassette anni, e qui assimilò la lezione del grande maestro. L’estetica antica, che David e i suoi allievi consideravano quale oggetto d’analisi e d’imitazione, divenne un punto di riferimento anche per l’apprendista pittore : la foggia decorativa dei vasi greci, la purezza formale delle sculture romane, la figurazione religiosa dell’arte medievale agirono in profondità sulla sua indole creativa in pieno fermento, tanto da convincerlo, nel 1806, a partire per Roma con l’obiettivo di studiare i lavori di colui che sempre riterrà il suo massimo ispiratore, il pittore e architetto italiano d’epoca rinascimentale Raffaello Sanzio, più semplicemente conosciuto come Raffaello.

J.A.D. Ingres
1830 circa. Olio su tela
Da Raffaello e dagli altri artisti del Quattrocento italiano, infatti, Jean Auguste Dominique Ingres ereditò la tecnica raffinatissima e l’attenzione al dettaglio, ma questo suo gusto per il passato, per l’antico, non si limitò a un impersonale scimmiottamento di tradizioni ormai superate. Il calcolatissimo studio anatomico e l’attenzione alle proporzioni di derivazione classica erano completati da un’indagine introspettiva e un erotismo di stile moderno, mentre la scelta dei soggetti rappresentati, di natura storica o mitologica, strizzava spesso l’occhio al presente. L’età antica, insomma, era riesumata alla luce di una sensibilità strettamente attuale : e questo, badate, aveva motivazioni che travalicavano la semplice sfera artistica.

J.A.D. Ingres
1806. Olio su tela
Quello in cui viveva Ingres era un periodo storico di grandi stravolgimenti, un periodo tormentato, la Rivoluzione Francese stava cedendo il passo a ciò che in pochi anni sarebbe diventato l’assolutismo napoleonico, e l’aspirante all’ideale trono d’Europa, il generale Napoleone Bonaparte, aveva capito l’importanza dell’arte quale strumento di legittimazione del potere. Incoronato imperatore dei francesi nel 1804 e re d’Italia l’anno successivo, Napoleone I voleva che la propria immagine di sovrano moderno, di monarca ispirato dal pensiero illuminista, fosse accostata a quella degli imperatori romani o dei faraoni egizi, quando l’autorità era ancora ritenuta d’ascendenza divina. Non sono un semplice militare di carriera – questo era messaggio che Napoleone intendeva trasmettere ai propri concittadini e commilitoni – ma il discendente indiretto delle antiche dinastie regnanti. Chi meglio dunque degli artisti di corrente neoclassica, a loro volta rifacentesi a modelli antichi, poteva rappresentare visivamente la smisurata ambizione napoleonica ?
Di Napoleone Bonaparte furono realizzati moltissimi ritratti, ma uno dei più famosi, quello che lo mostra elegantissimo e imperturbabile seduto sul trono imperiale, aulico e sublime come un dio greco, lo si deve proprio a Jean Auguste Dominique Ingres. A dimostrazione che una volta il connubio d’arte e politica generava molti meno obbrobri di quanto non faccia adesso.
Bell’articolo, anche io ingannata dal titolo della mostra pensavo fosse una personale 😉
Grazie Mariachiara, però dai, la mostra è bella lo stesso 🙂
Che meraviglia “La Grande Odalisca” in chiaroscuro..
grazie per la condivisione Richard
Un grande indiscutibilmente, anche se io prediligo maggiormente il Napoleone di David.
Per quanto riguarda i connubi invece, oggi l’arte e la politica non si parlano proprio, se all’arte ci riferiamo…
Poi invece altri connubi avvengono, ma parlano sempre meno d’arte, e se ne parlano ne parlano malamente senza prendere in considerazione le giuste potenzialità che la stessa potrebbe esprimere e compensare, date le grandi lacune che attanagliano oggi la cultura.
Infine le mostre dei grandi maestri dovrebbero costare meno, cosi come i musei, l’altro giorno al Castello Sforzesco ho visto desistere molti per il costo del biglietto del museo, dovremmo incentivare maggiormente la cultura, per non parlare di alcuni cataloghi, visto i tempi che corrono…
Le mostre non possono essere frequentate prevalentemente da turisti, gli Italiani sembrano estinti…
Bisognerebbe rivedere le strategie per far avvicinare di più i nostri giovani e non solo all’arte, politiche diverse, e manifestazioni divulgative per far crescere le nuove generazioni, partendo anche dalla prima formazione scolastica, all’educazione artistico-culturale, come soleva farsi al tempo dei tempi…