L’impegno delle donne nell’arte : dal Novecento a oggi

Questo articolo è stato scritto da Mery Scalisi*

Spesso ci si domanda perché non ci siano artiste donne della portata di Botticelli, Da Vinci o Picasso, e forse la risposta più frequente a questa domanda ruota attorno al problema dell’eguaglianza : tutto dipenderebbe non dall’assenza nelle donne di requisiti artistici, bensì a dinamiche che hanno investito la società fino ad almeno il XX secolo, impedendo dunque a queste di formarsi e di impegnarsi professionalmente.

Le donne, allora al corrente del fatto che la società in cui vivevano vedeva l’arte come faccenda degli uomini, iniziarono quasi a imitare l’uomo, copiandolo negli atteggiamenti e nel modo di vestire e gridando ad alta voce che l’essere donna o uomo prescinde dall’essere creativi.

Solitamente, quando si parla di donna nell’arte contemporanea, possiamo dividere l’argomento in due periodi : dalle Avanguardie storiche agli anni Sessanta, quando la donna pur di accontentarsi spesso e volentieri accettava un posticino anche fra le cosiddette arti minori, e dagli Settanta ad oggi, quando la donna riesce a ottenere pian piano la propria indipendenza e inizia a esprimere la propria creatività attraverso diverse forme d’arte senza più vincoli e restrizioni. In questo secondo periodo, infatti, grazie anche ai movimenti politici nati nell’ambito della protesta giovanile degli anni Sessanta, le donne artiste organizzano gruppi di orientamento femminista in segno di protesta, o addirittura danno vita a mostre in luoghi alternativi per attaccare le istituzioni museali che all’epoca tendono a escluderle.

Il caso della Sicilia

Sole di Sicilia
Adele Gloria
Olio su tela

La Sicilia, terra di donne audaci e coraggiose, nel corso del Novecento ha potuto vantare importanti artiste.

Adele Gloria, catanese, unica donna futurista originaria della Sicilia, si distinse nel campo dell’aeropittura e dell’avanguardia, tanto da essere definita “artista totale” secondo i canoni del movimento futurista. A Catania ebbe la fortuna di conoscere alcuni fra i maggiori esponenti del movimento in Sicilia : Nino Zuccarello, Giacomo Etna, Giuseppe Franco, mentre con il futurista messinese Giulio D’Anna strinse addirittura amicizia. Fu D’Anna, nel 1932, a metterla in contatto con Filippo Tommaso Marinetti, il quale le offrì spazio nella rivista Futurismo e la consacrò futurista nel 1933 durante una manifestazione al Lyceum di Catania.

A Palermo visse Lia Pasqualino Noto, pittrice, collezionista e gallerista. Lia Pasqualino Noto aderì al movimento che fece seguito alla pittura futurista, i novecentisti. Tra il 1932 e il 1937 furono uniti in un sodalizio artistico Lia Pasqualino Noto, Renato Guttuso, Nino Franchina e Giovanni Barbera : il cosiddetto “Gruppo dei Quattro”.

Nel secondo dopoguerra italiano la trapanese Carla Accardi, assieme a Ugo Attardi, Pietro Consagra, Piero Dorazio, Mino Guerrini, Concetto Maugeri, Achille Perilli, Antonio Sanfilippo e Giulio Turcato, fondò il Gruppo Forma, d’ispirazione formalista e marxista.

Rosa viola bianco
Carla Acccardi
1969. Tempera su carta

La ricerca di Carla Accardi andò in direzione dell’automatismo segnico fino all’inizio degli anni Sessanta. Nel 1965 l’artista abbandonò le tempere per sostiturle con vernici colorate e fluorescenti da applicare su supporti plastici trasparenti : questo, pensate, per uscire dalla dimensione del quadro e coinvolgere lo spazio, manifestando così un atteggiamento che sarà condiviso anche dagli esponenti del movimento dell’Arte povera. Negli anni Settanta la Accardi tornò agli schemi geometrici reiterati su grandi tele chiamate Lenzuoli, esperienze queste che continueranno a essere approfondite in una serie di installazioni fino al recupero di una dimensione più tradizionale negli anni Ottanta.

Carla Accardi partecipò al movimento femminista italiano insieme a Elvira Banotti e Carla Lonzi : il loro gruppo, denominato “Rivolta Femminile”, si fece persino autore di un manifesto.

Un’altra palermitana, Letizia Battaglia, fotografa, fotoreporter e politica, iniziò la sua carriera nel 1969 collaborando con il giornale palermitano L’Ora, unica donna tra colleghi maschi. Nel 1970 si trasferì a Milano dove cominciò a fotografare collaborando con varie testate.

La donna inciampa sul velo
Letizia Battaglia

Divenne una fotografa di fama internazionale, conosciuta non solamente quale “la fotografa della mafia”. Le sue foto, spesso in un vivido bianco e nero, si prefissero spesso di raccontare la città di Palermo nella sua miseria e nel suo splendore, con i suoi morti di mafia ma anche con le sue tradizioni uniche , gli sguardi dei bambini e delle donne per strada, i quartieri, le strade, le feste e i lutti, insomma la vita quotidiana di una città fatta di bellezza, di potere e di mille contraddizioni. Letizia Battaglia fece spesso delle provocazioni pubbliche organizzando mostre in piazza : ritratti nei suoi bellissimi scatti, cui nessuno osava avvicinarsi, erano nientemeno che i personaggi di potere della Sicilia.

Sarà dopo l’assassinio del giudice Falcone, il 23 maggio 1992, che Letizia Battaglia si allontanerà dal mondo della fotografia, stanca di avere a che fare con la violenza.

Rossella Leone, architetto, nella seconda metà degli anni ottanta si distinse per un’originale ricerca estetica grazie all’uso della carta fabbricata a mano : la carta non più soltanto a supporto ma come vero e proprio materiale pittorico.
Il suo lavoro spazia dalle arti visive al teatro, con installazioni, azioni scenico-musicali, performance, scene e costumi realizzati per importanti produzioni di teatri lirici sia in Italia che all’estero. Nelle opere di Rossella Leone, siano esse pittorici o scultoree, in carta, pietra, resina o vetro, emerge sempre il forte rapporto tra arte e architettura, a cominciare dal corpo stesso dell’opera per arrivare dunque ad un consapevole rapporto tra arte, architettura e città, e per la riqualificazione dell’arte pubblica.

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Filippa Santangelo
Olio su tela

Filippa Santangelo, artista nata nel 1980 a Siracusa, rivisita e interpreta la bellezza ispirandosi al Rinascimento fiorentino per quanto riguarda la costruzione dello spazio e la proprietà della luce. Attraverso la rappresentazione di luoghi e di interni abbandonati che sembrano aver perso la loro identità e la loro funzione, la Santangelo ci apre le porte a un momento di dialogo con noi stessi. Ogni luogo, abbandonato, si apre come una ferita in cui l’urlo di dolore sembra non aver suono ; assenza e silenzio per arrivare alla salvezza di se stessi dopo essersi aperti alle proprie debolezze.

*Mery Scalisi: laureata in Comunicazione e valorizzazione del patrimonio storico artistico e specializzata in Progettazione artistica per l’impresa, lavora a stretto contatto con l’arte contemporanea, facendo di questa la chiave di lettura per ogni approccio lavorativo verso cui si muove. Art is life, il motto attorno cui la sua esperienza lavorativa/artistica ruota.

 

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