Francis Bacon secondo Michel Leiris. E viceversa.

I lettori più assidui di questo blog, ai quali mai smetterò di manifestare tutta la mia gratitudine, avranno probabilmente notato la preferenza che porto verso alcuni artisti ; come se avessi eletto una piccola schiera di talenti favoriti, cui riservo un’attenzione particolare. Tra questi, poi, eterogenei per nazionalità, sesso ed epoca di attività, c’è un signore d’origine britannica che occupa un posto d’onore. Il mio artista preferito, se proprio vogliamo ricorrere a un’espressione a mio parere poco simpatica. Francis Bacon (1909 – 1992) : il pittore dei corpi contorti, le forme sgraziate e i colori stridenti che impose uno stile mai visto prima, sgradevole per alcuni e irresistibile per altri.

Francis Bacon
Francis Bacon

Il primo pensiero che ho dedicato a Bacon, ormai qualche anno fa, riguardava la vendita di un suo trittico a un prezzo record durante un’asta di Christie’s, ma non vi nascondo che uno degli articoli cui mi sono dato con maggior fervore è quello sulla mia visita al suo studio londinese di Reece Mews, ricostruito presso la galleria Hugh Lane di Dublino. Oggi, come avrete già immaginato, voglio nuovamente parlarvi di lui, del mitico Francis Bacon, ma per non insistere sui soliti argomenti, e correre così il rischio di farvelo venire a noia, ho deciso di adottare un punto di vista esterno, un punto di vista non mio : il punto di vista del poeta e scrittore francese Michel Leiris (1901 – 1990), che a Francis Bacon consacrò diversi testi critici.

Perché demandare a qualcun altro un giudizio sull’artista che tengo per favorito ? Non è questione di pigrizia, e vi confesso anche di avere quel tanto di sicurezza in me stesso da non esigere conferme esterne a supporto dei miei gusti. Michel Leiris, tutto dipende da lui. La stima che provo nei confronti di Michel Leiris, intellettuale francese tra i più importanti del ventesimo secolo sebbene poco conosciuto in Italia, autore di una sconvolgente autobiografia scritta ad appena trentatré anni e di un imponente corpus d’opere riguardanti gli argomenti più disparati, dall’etnologia alla poesia surrealista, poco si scosta per intensità da quella che provo nei confronti di Francis Bacon stesso. Due portenti, Leiris e Bacon, l’uno letterario e l’altro artistico, che non cessano di alimentare la mia ammirazione. E che in vita, pensate, si scoprirono anche grandi amici.

Ritratto di Michel Leiris - Francis Bacon
Ritratto di Michel Leiris
Francis Bacon
1976. Olio su tela

Il loro primo incontro risale al 1966, quando entrambi avevano raggiunto un’età matura e ottenuto il riconoscimento da parte di un nutrito pubblico. Bacon era un artista di fama crescente, i suoi dipinti erano stati esposti in gallerie d’Inghilterra, Francia, Stati Uniti, Germania e Italia; Leiris, invece, aveva già pubblicato una notevole serie di romanzi, saggi e raccolte di poesie, e si trovava impiegato presso il Museo dell’Uomo di Parigi in qualità di ricercatore etnologo. Non so se tra i due si stabilì subito una solida intesa o la loro amicizia maturò lentamente, fatto sta che lo scrittore francese scorse nel pittore d’oltremanica un talento unico e a lui affine nella maniera di concepire l’atto creativo.

Come per Michel Leiris la creazione letteraria era vissuta in modo violento, intensissimo, quasi si trattasse di una lotta disperata per la sopravvivenza, così la pittura di Francis Bacon pareva al letterato parigino una sfida, un gioco d’azzardo, lo spazio in cui elementi opposti e inconciliabili producono un’invincibile tensione. Ed è proprio attorno al concetto di tensione che Leiris impostava buona parte dei suoi scritti dedicati all’amico pittore, tra i quali si annoverano Francis Bacon ou la vérité criante pubblicato nel 1974, Francis Bacon, face et profil del 1983 e Bacon le hors-la-loi del 1989.

Francis Bacon e Michel Leiris
Francis Bacon e Michel Leiris

La tensione, nei sinistri dipinti di Bacon, nasce prima di tutto dall’intento di scavalcare un limite insormontabile, vincere un paradosso. Quando l’arte era ormai il campo di scontro tra figurazione e astrazione, tra il desiderio di riprodurre il reale e il tentativo di affrancarsene definitivamente, Bacon sceglieva la via di mezzo – ma attenzione, non la mezza misura – Bacon sceglieva di figurare senza illustrare. Risultato di questo rischioso compromesso erano dipinti impossibili da ricondurre ad alcuno stile o corrente, ad alcun principio di verosimiglianza o desiderio di fantasticheria : persone, oggetti, ambienti, animali e creature bestiali s’imponevano nella pittura di Bacon, e nell’interpretazione che ne dava Leiris, quali figure difficilmente riconoscibili, spesso era il titolo dell’opera che permetteva all’osservatore di capire chi o che cosa rappresentassero le forme dipinte.

Non era il primo, Francis Bacon, ad affrancarsi dall’antagonismo tra arte astratta e arte figurativa. A precederlo, infatti, erano stati Picasso, Braque e il gruppo dei pittori cubisti, ma piuttosto che creare una scuola, dettare delle regole, proporre una via da seguire, l’artista britannico si lasciava semplicemente trasportare dall’ispirazione del momento. La tensione ideale tra illustrazione e astrazione, tra razionale e irrazionale, tra intelligenza e impulso, lui la esprimeva nella tensione plastica delle linee, dei colori, delle figure dei suoi dipinti. Niente teorie, niente significati nascosti, niente simbologie dietro i suoi impenetrabili quadri : solamente della pittura che è, esiste, sta, e grazie al fatto stesso di esistere segnala a sua volta l’esistenza di noi osservatori. Ci voleva un intellettuale coltissimo e depressivo come Michel Leiris per stabilire che l’arte di Francis Bacon non va capita ma semplicemente lasciata vivere. Ci voleva un genio pazzoide e irrefrenabile come Francis Bacon per figurare, su tela, l’animo inquieto ed enigmatico dell’amico scrittore.

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