Quel che la Primavera di Von Stuck mi ha insegnato

La collaborazione con la mia amica Eva Colombo pare ormai rodata, di tanto in tanto lei m’invia un ricordo, una fantasia, un pensiero e io lo pubblico sul mio blog senza apportarvi nessuna modifica – manco una virgola oso toccare, tanta è la mia stima nei suoi confronti. Stavolta, poi, riconosco che Eva si è superata : il testo che ha dedicato alla sua scoperta del dipinto Primavera dell’artista tedesco Franz Von Stuck presso un museo di Budapest è a mio parere il più bello da lei scritto.

Eva Colombo, Quel che la Primavera di Von Stuck mi ha insegnato

Primavera - Franz Von Stuck
Primavera
Franz Von Stuck
1902. Olio su tela

Ricordo la prima volta che vidi la Primavera di Franz Von Stuck, a Budapest, molti anni fa. Era una di quelle giornate in cui il cielo era così terso che mi ci potevo specchiare: avevo un vestito azzurro, le ginocchia abbronzate e la luce del sole trasformava in un scintillante velo purpureo i miei capelli. Insomma, era una di quelle giornate in cui una ragazza ventenne avrebbe dovuto stare bene. Invece non stavo bene : la suola di corda delle mie espadrillas mi metteva a disagio. Non che mi facesse male, per niente. Ma la rustica ingenuità di quelle suole produceva un’irritante dissonanza mentre camminavo. Sì, perché quel giorno mi sembrava di camminare su di un filo, un filo scintillante sospeso sopra l’ombra. Ogni passo richiedeva una sofisticata precisione che era folle pretendere dalla grossolanità delle espadrillas. Ad ogni passo avrei voluto scaraventarle contro lo specchio troppo terso del cielo, che la smettesse di distrarmi solleticando la mia vanità. Dovevo concentrarmi, non potevo permettermi di mettere un piede in fallo. Il sole faceva scintillare Il velo purpureo dei miei capelli così tanto che i miei occhi ne erano abbacinati : le piante dei piedi avrebbero condotto i miei passi molto meglio dei miei occhi. Sì, avrei proprio dovuto scaraventare le mie espadrillas contro il cielo. Ma ovviamente non potevo, ero nel centro di Budapest. Dentro il Museo di Belle arti il sole mi concesse una tregua : allora vidi con chiarezza che il filo scintillante su cui traballavo con le mie incongrue espadrillas era creato dal timore che avevo del giudizio, il giudizio che il ragazzo con cui ero avrebbe potuto scaraventarmi addosso ad ogni passo. Temevo lo sguardo acuminato e la voce contundente di quel ragazzo, temevo che il suo giudizio mi spingesse giù dal filo scintillante della sua ammirazione, nell’ombra. Poi vidi lei, la Primavera di Franz Von Stuck. Si stagliava contro un cielo nuvoloso che era come il lenzuolo che ci si tira sulla testa nel disperato tentativo di prolungare la notte, nel disperato tentativo di continuare a non essere visti. Era nell’ombra, così bella e così sola. Non sembrava aver bisogno del sole e di un accompagnatore: i suoi occhi azzurri erano il suo cielo sereno, e lei non aveva bisogno di specchi per sapere di essere bella. I suoi capelli non abbacinavano i suoi occhi : erano quel velo d’ombra che spesso è necessario per poter vedere chiaramente. Le sue mani non cercavano il calore di altre mani ma si facevano bastare il tocco fresco delle violette: le violette che fioriscono nell’ombra, che non hanno bisogno dello sguardo altrui per vivere ed essere belle. La rustica suola di corda delle mie espadrillas si accordava perfettamente al suolo scuro e fertile che i miei piedi calcavano saldamente mentre contemplavo quel quadro. Quella era la Primavera : la vita e la bellezza per antonomasia. Eppure era sola, eppure era nell’ombra. Si può essere vive e belle anche nella solitudine, anche nell’ombra. Quando lasciai la Primavera di Von Stuck i miei passi erano quelli di chi non ha paura di cadere.

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Una risposta a "Quel che la Primavera di Von Stuck mi ha insegnato"

  1. Per il tema “violette di Persefone ( Primavera )” in chiave simbolistica, rimando al mio articolo La lussuriosa dantesca nel prisma dell’ Imaginifico – Edizioni Ca’ Foscari

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