L’altra sera, guardando il telegiornale, io e la mia coinquilina francese siamo capitati su un servizio che ha attirato la nostra curiosità. A Palermo, raccontava l’inviato dell’emittente televisiva, nei sotterranei del convento dei Cappuccini, sono conservati tantissimi corpi mummificati : salme di persone decedute diversi decenni orsono che amici e famigliari decisero di preservare dalla decomposizione sottoponendole a trattamenti d’imbalsamazione. Sullo schermo del televisore, pertanto, mentre il giornalista spiegava entusiasta questa usanza ancestrale, io e la mia coinquilina vedevamo sfilare una lunga serie di scheletri umani, alcuni dei quali portavano ancora brandelli di carne rinsecchita, ciuffi di capelli, pendagli o vecchi vestiti.
Questo è il vero culto dei morti ! commentavo io per stemperare il disgusto che vedevo dipingersi sul volto della mia coinquilina – disgusto peraltro pienamente giustificato : ci trovavamo infatti all’ora di cena. E tu, mi domandava lei come per cambiare argomento, a Palermo ci sei mai stato ? Sì, ci sono stato, rispondevo con fare quasi orgoglioso, molto tempo fa e solamente di sfuggita. Una puntata rapida, rapidissima, il mio passaggio nel capoluogo siciliano, che tuttavia mi lasciò un’impressione indimenticabile.
Dovevo avere quindici, forse sedici anni, e mi trovavo in Sicilia con mamma e papà per una vacanza al mare: una vacanza di solo mare, niente monumenti, escursioni, o visite a località storiche. Arrivati in aereo a Catania, una caldissima estate d’inizio millennio, e passata una settimana ad arrostirci al sole su una spiaggia prospiciente le isole Eolie, avevamo infatti previsto di recarci a Palermo giusto per prendere il volo che ci avrebbe riportati a Milano. E così pertanto avvenne, ma per quel poco che della città riuscii a vedere dalle finestre del nostro pullman diretto all’aeroporto, vi confesso, per me arrivare a Palermo fu come arrivare in un altro Paese, un Paese straniero, come arrivare nel Paese delle Meraviglie. Arrivare a Palermo fu come arrivare a Hollywood.
Questa sensazione magica e straniante, tanto più sentita data la mia giovanissima età, era dovuta a una ragione molto semplice. Sul promontorio sovrastante la città campeggiava una grande scritta in tutto e per tutto simile alla monumentale insegna che domina il quartiere di Hollywood, nell’americanissima Los Angeles. Stesse lettere, stesso carattere tipografico, stesso colore, e soprattutto stesse proporzioni : una palizzata metallica bianca alta ventitré metri e lunga centosessanta. Hollywood, insomma, stava davvero a Palermo. Sul momento mi venne il sospetto che si trattasse di uno scherzo, se non addirittura della classica patacca italiota, ciononostante non potei fare a meno di lasciarmi andare a incantevoli fantasticherie ; le fantasticherie di un adolescente cresciuto guardando i film di Indiana Jones e la saga di Guerre Stellari. Per quanto breve e inaspettato, quello fu l’episodio che più marcò il mio viaggio in Sicilia.
E tu, a Palermo ci sei mai stato ? La domanda della mia coinquilina, per tornare ai giorni nostri, mi riecheggiava nella testa, e con essa il ricordo improvvisamente ridestatosi nella memoria. Palermo, Palermo, Hollywood… Deciso a far luce su che cosa si nascondesse dietro la gigantesca scritta sulle alture palermitane, piccolo mistero di giovinezza, ho fatto una veloce ricerca su internet, e con grande sorpresa ho scoperto che la curiosa trovata era merito di un celebre artista contemporaneo. Un’opera d’arte ?
Maurizio Cattelan, il suo estroso ideatore, all’epoca ne parlava come della materializzazione di un desiderio, il desiderio non tanto di celebrità o successo quanto di fuga nell’immaginario. La famosissima insegna Hollywood era per lui il simbolo di un sogno, un sogno di cartapesta, o meglio, un sogno di squallida lamiera che dall’assolata California viene ormai veicolato su scala mondiale a mezzo stampa e televisione : i volti di Marlon Brando, Marilyn Monroe, Leonardo Di Caprio e del resto della cricca sono diventati delle icone di una bellezza senza tempo e senza dimora, esportabile ovunque e senza alcun dazio da pagare. Erigere pertanto a Palermo, sulle colline di Bellolampo, una copia della scritta Hollywood, era solo un modo per dimostrarne il carattere universale, e al tempo stesso svelarne la piatta artificiosità.
Rendermi conto, a trent’anni compiuti, che quello che da ragazzino mi apparve quasi come un miraggio era in realtà una pensata del pestifero Cattelan, mi ha fatto un certo effetto. Non si è trattato propriamente di delusione, quanto piuttosto della sensazione di vuota malinconia che ti assale da bambino quando scopri che Babbo Natale non esiste. E Hollywood ? E il cinema ? E gli studi della Warner ? E Marlon Brando ? Niente, a Palermo non c’era e non ci sarebbe mai stato niente di tutto questo. Solamente una gigantesca istallazione metallica che lasciò sognare turisti e siciliani il tempo di un’estate.
Mi ritrovo nelle tue parole!
Palermo la vivo da qualche anno perché si è trasferito mio figlio.
La trovo magnifica e misteriosa!