Il merito di Dany Laferrière, oltre a quello di essersi inventato il titolo più geniale per un romanzo scritto da un autore haitiano naturalizzato canadese – Come fare l’amore con un negro senza affaticarsi – è di aver espresso a chiare parole, nel corso di un’intervista televisiva, il segreto per diventare un grande scrittore. Raccontando degli sballottamenti che dalla nativa isola di Haiti lo condussero in Canada, negli Stati Uniti e infine anche a Parigi, questo sessantenne dalla voce profonda e la pelle nera si è soffermato su di un periodo poco emozionante della propria vita, quello trascorso nella Miami degli anni ’90.
Sole, occhiali da sole, mare, aria di mare, spiaggia, tipi da spiaggia, yacht, macchine decapottabili di grossa cilindrata e ragazze in bikini… niente da fare : per Dany Laferrière, arrivato dalle nevi del Quebec, patria adottiva e luogo d’ispirazione della sua prima vena letteraria, la caldissima Florida non corrispondeva proprio al paradiso da tanti sognato. Probabilmente gli mancava lo straordinario crogiolo culturale scoperto ancora giovanissimo a Montreal, centro della francofonia canadese, oppure la semplicità della vita a Haiti gli provocava lunghi sospiri di nostalgia.
Le sue giornate passavano lente, calibrate, nell’assolata Miami, i pochi svaghi che si concedeva erano la passeggiata quotidiana sulle rive di un lago nel quartiere di Kendall e la contemplazione di un albero di banane dalla finestra dell’appartamento dove viveva, forse a ricordo dell’infanzia haitiana. Ma allora, c’è da chiedersi, perché aver abbandonato la celebrità ottenuta grazie al primo successo letterario, un nutrito gruppo di amici su cui contare, una carriera di giornalista a Montreal bene avviata, e venire ad abitare per dodici anni, dodici lunghissimi anni, in una città che apertamente non amava ? Il richiamo della letteratura, il richiamo dell’arte.
Malgrado la poca esperienza, Laferrière aveva intuito che per dedicarsi seriamente al mestiere di scrittore era necessario isolarsi dalla caciara, dal brusio mediatico, dal tintinnio dei dollari – ma anche dagli affetti, dalla tranquillità domestica, dal vivere comodi. In un certo senso isolarsi dal mondo. Poche distrazioni per Dany Laferrière, che nel corso del suo soggiorno a Miami, chiuso in uno stanzino angusto, scriverà ben dieci libri tra cui i bellissimi L’Odore del caffè e Il Fascino dei pomeriggi senza fine, e si guadagnerà così un posto d’onore nell’esclusiva Académie française.
Pensando alla lezione dello scrittore canadese sull’importanza di scegliersi un domicilio modesto, appartato, possibilmente in una città che non si apprezza, e lì concentrarsi a fondo sull’attività creativa, un afoso pomeriggio di questa estate mi trovavo sul balcone della casa al mare dei miei genitori, intento a battere al computer quattro righe su di una mostra da poco visitata. La mia ambizione, badate, non puntava certo al successo letterario, e tantomeno all’Académie française.
Seduto al tavolo bianco di legno, tuttavia, con tastiera e monitor pronti ad attendere i miei input, le idee che tentavo a fatica di far uscire dalla testa ed esprimere a parole, capivo l’importanza della scelta di Laferrière. E a quel punto, credetemi, mi rendevo conto di quale fosse il vero ostacolo contro cui s’infrangevano tutti i miei sforzi. Il mare, dal balcone dell’appartamento famigliare avevo una larga vista sul mare. Il golfo del Tigullio che inizia dal lontano promontorio di Portofino e rientra nella baia di Rapallo, proseguendo poi piatto fino all’istmo di Sestri Levante, era l’irresistibile fonte di disattenzione che m’impediva di lavorare. Più forte di qualsiasi trillo di cellulare, sirena d’ambulanza, notifica di Facebook. Davanti al panorama marino, non c’erano scuse che tenessero : ero costretto a guardare. E intanto la pagina del mio documento Word restava bianca, o poco più…
Laferrière, da scrittore conclamato, aveva ben compreso il segreto dell'”isolamento”, la mistica del creatore letterario in forzata clausura per addivenire alla stesura del racconto mentale nel segreto del buon andamento. La mente dello scrittore, validamente trasforma il pensiero in immagini, luoghi, cose e persone con l’abilità di un pittore iperrealista e la volontà di un monaco benedettino, così il romanzo o qualsivoglia storia o biografia, assumono precise connotazioni al lettore che vive il racconto, coinvolgendolo in ogni particolare e trasportandolo nel fascino di vite altrui. Vietati allo scrittore, visioni di golfi meravigliosi e qualsiasi distrazione materiale, poi, terminata l’ultima pagina, egli può concedersi ogni proibizione: perfino camminare su un filo d’acciaio teso tra Scilla e Cariddi…
Hai espresso meravigliosamente l’idea
Il sapersi isolare dal mondo…
che splendida realtà!
Complimenti per il post
Credo che si tratti soprattutto di un sacrificio che in pochi sono disposti a compiere…