Tutto è iniziato poche settimana fa, quando ho ricevuto un’email dal comitato organizzativo di White in the city. I curatori di questo curioso evento culturale, in programma a inizio aprile nella città di Milano, mi facevano una proposta che io accoglievo come una sfida : scrivere e pubblicare sul mio blog un articolo dedicato al colore bianco, tema centrale dell’evento stesso. Il bianco, pensavo io, ma il bianco in che senso ? Ho sentito di festival dedicati a uno scrittore, a un genere musicale, a una specialità culinaria, mai tuttavia a un semplice colore – o alla negazione stessa del colore, come talvolta viene percepita la tonalità bianca.
Non era ovviamente mia intenzione mettermi nei panni degli ideatori della singolare iniziativa, anche se non nascondo una certa curiosità per la bizzarria della faccenda, ma la situazione in cui venivo a trovarmi pareva quella di uno studente di scuola elementare davanti al compito in classe d’italiano : oggi l’argomento lo decidete voi, ragazzi : tema libero. Quando si trattava di tema libero, di solito per me significava tema bianco.
Confesso che in un primo momento ho pensato a una risposta radicale. Quelli di White in the city mi chiedono un articolo sul bianco ? E io invio loro una pagina vuota. Banale provocazione o semplice scappatoia, degna forse di un tardo poeta dadaista o di un Enrico Ghezzi a corto di idee : non certo di un giovane venditore di piscine che la sera, per ingannare l’insonnia, tira tardi davanti al computer divagando sulla mostra d’arte visitata l’ultimo weekend.
(Le piscine e l’arte, interessante accostamento. Ricordo che una volta, quasi per scherzo, un amico pittore mi lanciò l’idea d’imbastire una mostra d’arte sponsorizzata dall’azienda dove lavoro. Tema della mostra : l’acqua. Vi faremo sapere ! risposero a me e al mio amico artista i direttori d’azienda).
L’arte, ecco dove andare a cercare. Rimestare nel mio blog e pescarci qualcosa di bianco. Facile ! Tra gli artisti recenti che si sono accaparrati il monopolio di un colore specifico, facendone il proprio feticcio, ve n’è uno totalmente dedito al bianco. Robert Ryman, pittore americano che tinge grandi tele squadrate di candide tracce incolori. Niente forme, niente figure nei suoi misteriosi monocromi. Un solo colore, un solo concetto : il bianco. Gentili Signori, ho trovato l’uomo che fa per voi : vi presento Mr Ryman. Anche in questo caso, tuttavia, avevo la sensazione di non fare le cose per bene. Mancavo di originalità. Facile, dicevo poco sopra, troppo facile : scaricare su qualcun altro il peso di questo leggerissimo compito. Eccovi l’artista, eccovi il colore… Non c’ero proprio.
Il bianco, mi chiedevano un articolo sul bianco ; ma che cos’è il bianco per me ? Il latte, lo yogurt, la neve, la panna, il bicarbonato… roba ce non c’entrava niente. Ero di nuovo punto e a capo. No, dai, non del tutto punto e a capo. Qualcosa sentivo che stava iniziando a scricchiolare, c’era un granello, un sussurro, un accenno di passo avanti. Forse un’idea. I miei pensieri tornavano alla pagina bianca, inizialmente l’avevo presa poco sul serio ma pian piano mi rendevo conto che tutto si sarebbe svolto proprio lì. Io e la pagina bianca. Chiunque si sia mai trovato nella mia stessa situazione, dal compilatore d’enciclopedie alla casalinga che annota la lista della spesa, sa che cosa vuol dire capitare davanti alla pagina bianca : confrontarsi con l’eterno dilemma dello scrittore, quando per scrittore si intende genericamente colui che scrive (lo scrivente ?), non per forza il letterato. Lo guardavo, il bianco, quello della pagina bianca, pura e immacolata, il bianco del sottilissimo presentimento d’angoscia che si acuisce con lo scorrere dei minuti, il bianco della pagina bianca, algida e limpidissima, il bianco che cacchio ! finché rimango con la testa per aria resterà sempre bianco. Dissolvenza.
Lo guardavo, il bianco. La soluzione stava davanti ai miei occhi intanto che io, stupido, mi lasciavo prendere dal panico o ricorrevo a inutili appigli. Bastava poco, così poco, eppure mi sentivo ormai perso, pietrificato, in caduta libera fino ai recessi della pagina bianca, fino ai recessi della pagina vuota. Forse l’avevo trovato, il bianco che cercavo, ma per un’oscura ragione mi rendevo conto che ormai la sfida era persa. Nessuna via di scampo, nessuna mezza misura. Il bianco, quel bianco, era più forte di me.
Il bianco è luce, rivelazione, partenza di spettro solare. Nel bianco si fondono le pieghe di toni diversi di luce, caleidoscopio di luminosa presenza cromatica. Candore e clangore d’immenso surreale, petalo di bianco fiore, mattutino pittorico di una tavolozza abbagliante, lindore e nitore di fanciullesche rimembranze…
Ognuno ha una propria percezione del bianco
Certo che la richiesta era realmente complessa, al di fuori degli schemi consueti.
Qualcuno poteva cadere in qualche tranello, del tipo; associare al colore bianco una connotazione espressiva connotativa. Ma il modo di procedere sarebbe stato ovvio e, forse, non adatto alla richiesta.
La richiesta esigeva qualcosa di coinvolgente, in grado di condurre il lettore a cogliere quel tratto, quella dissolvenza che hai mirabilmente evocato.
Mentre leggevo il post, mi veniva in mente questa situazione: ” E se mi chiedessero di spiegare la musica di Schonberg, come potrei spiegare la musica dodecafonica? ”
ecco.. Mi troveri nella tua stessa situazione!
Allora mi è andata bene : mi avessero chiesto di scrivere un posto su Schonberg e la musica dodecafonica, non avrei davvero saputo che pesci pigliare 🙂
Al bianco si associa sempre l’idea di vuoto. Forse perché suscita una sensazione di smarrimento. Trovarsi ad un foglio vuoto – appunto – crea sgomento; ma direi uno sgomento diverso da quello che si prova davanti al buio. È come se non ci fosse spazio, se tutto quello disponibile fosse stato occupato proprio dal bianco. È il colore dell’abbaglio, oltre il quale non si può vedere nulla se non altra luce accecante.
Interessante la tua interpretazione, Dario. Mi piace l’idea dell’abbaglio.