Davanti al Paesaggio biondo di Jean Dubuffet

Non è veramente una sinestesia, quella figura retorica che consiste nell’associare due sensazioni proprie ad ambiti sensoriali differenti (es. un rumore aspro, un colore grave…). Paesaggio biondo : già nel titolo, il quadro dell’artista francese Jean Dubuffet si presenta come un piccolo enigma. Cos’è biondo ? Biondo è Boris Johnson, bionda era Marilyn Monroe, biondissimi sono i folti capelli di Donald Trump. E biondo può essere anche un paesaggio : un deserto, dei canyon, una zona collinare, qualsiasi territorio secco, spoglio, solitario.

Paesaggio biondo
Paesaggio biondo
Jean Dubuffet
1952. Olio su faesite

Quello dipinto tra maggio e luglio 1952 da Dubuffet, al suo rientro negli Stati Uniti, è uno scorcio della landa algerina, ai limiti dell’immensità sahariana, dove l’artista ha già soggiornato a più riprese e colto l’ispirazione per un’importante serie di opere, i Paesaggi del mentale. Agli antipodi della cultura accademica e di una pittura ultra razionalista allora in voga, Dubuffet riporta su tela lo straniamento trasmessogli dal suolo africano : e questo, intraprendendo la strada che forse potrebbe sembrare la meno spontanea.

jean-dubuffetCome il suo contemporaneo Jean Fautrier, Jean Dubuffet è strenuo sostenitore di un’arte che parte dal rifiuto : no, ho detto no, io No, stravolgendo la battuta finale dell’Ulisse di James Joyce, che qui non c’entra niente ma a me piace lo stesso. Il rifiuto di Dubuffet inizia in giovane età, quando a diciassette anni abbandona l’Académie Julian di Parigi per formarsi da autodidatta, e prosegue per tutta la sua carriera artistica. Il suo è un atteggiamento radicale, rivolto verso qualsiasi forma prestabilita di rappresentazione del reale, se non a qualsiasi forma in generale. L’arte senza forma o arte informale, come i critici denomineranno la corrente innescata da Dubuffet e Fautrier nei tardi anni ‘40, è un modo di ritrarre il mondo senza passare attraverso il filtro dell’artificio, senza badare alle cornici concettuali imposte dalla tradizione.

Contro l’intellettualismo e contro l’arte stessa : Jean Dubuffet si fida dell’istinto, ai discorsi lambiccati preferisce il linguaggio semplice, quello dell’uomo di strada, persino dell’uomo incolto, il bambino, l’analfabeta. Non è un caso se proprio a lui si deve la teorizzazione di un fenomeno da sempre esistente ma mai meritatamente riconosciuto, l’Art Brut, l’eccezionale impulso creativo manifestato da individui del tutto ineducati a qualsiasi disciplina artistica. Perché l’arte deve essere riservata a una limitata cerchia di persone, di tecniche, di situazioni, di scuole di pensiero ?

Sulla linea del rifiuto dell’elitismo e a favore invece del banale innalzato a livello artistico, Dubuffet ricorre a un supporto normalmente estraneo alla pittura, la faesite, materiale ottenuto dalla fibra di legno pressato, e realizza un quadro che pare un impasto delle stesse sostanze fossili e terrose ritratte. Il Paesaggio biondo, confusa veduta aerea o sporca sezione geologica del deserto algerino, è la trasposizione materica di un paesaggio che si trova prima di tutto nella testa dell’artista, un paesaggio mentale : ciò che prende comunemente il nome di sensazione. Una sensazione senza forma, quella da lui dipinta, talmente vaga, impalpabile, che neanche il ricorso a una metafora, a una sinestesia, è in grado di evocare. Prendetela per quella che è, una pura sensazione bionda.

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Una risposta a "Davanti al Paesaggio biondo di Jean Dubuffet"

  1. Dubuffet notifica la sua autentica “Art brut” attraverso un linguaggio immediato ed avulso da accademismi e lezioni. L’interesse che lo spinge nella ricerca dell’espressione artistica dei più puri: bambini, persone con problemi mentali ed altri istintivi, viene appunto sottolineato dalle proprie personalissime performance artistiche che accompagnano lo sviluppo delle sue opere attraverso immagini di primitiva memoria…

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