Triste, solitario e Viljo Gustafsson

La morte che cura la casa per il pover’uomo
La morte che cura la casa per il pover’uomo
Viljo Gustafsson
1984. Olio su tela

Niente internet, niente televisione, niente telefono. Per più di cinque giorni. Riuscireste a sopravvivere ? A me è capitato poche settimane fa, e vi confesso che me la sono davvero vista brutta. Guastatosi il modem, mi sono ritrovato tagliato fuori dal mondo.

Dannata compagnia telefonica francese : ma non ci pensano ai tapini come me che dopo una dura giornata di lavoro vogliono inebriarsi di reality televisivi, o scoprire su Facebook dove è andato in vacanza il compagno di banco delle scuole medie ? Uno dei periodi più terribili della mia vita : non fosse stato per alcuni vecchi giornali recuperati nel cesto della carta straccia, non so davvero come avrei passato le lunghissime serate di fine settembre.

Brutta bestia, la solitudine. A riconfortarmi c’era il solo pensiero di quanti prima di me si sono trovati in una situazione quasi peggiore. Robinson Crusoe, San Girolamo, Nelson Mandela, Pinocchio e in tempi più recenti il finlandese Viljo Gustafsson. Dato che delle sventure dei primi quattro probabilmente siete già al corrente, ho deciso di dedicare un post al misconosciuto artista scandinavo, scoperto lo scorso anno alla Halle Saint Pierre di Parigi.

Morte del pover'uomo
La morte del pover’uomo
Viljo Gustafsson
1983. Olio su tela

La Finlandia, ci siete mai stati ? Io ci capitai brevemente qualche anno fa, e la mia permanenza si limitò alla capitale Helsinki. Ricordo che era estate, e la sera alle undici il sole non era ancora tramontato. Là in alto è così : giornate luminosissime nel periodo estivo e un inverno freddo, buio e anche parecchio lungo. Un clima difficile da sopportare talvolta per i nativi stessi, soprattutto in quelle regioni – la maggior parte – dove la densità di conifere per chilometro quadrato è superiore a quella di essere umani. Ed è proprio in una delle selvagge e remote regioni del sud ovest finlandese che è ambientata la nostra storia.

Strani quartieri
Strani quartieri
Viljo Gustafsson
1983. Olio su tela

C’era una volta, nei pressi della cittadina di Karkkila, un piccolo cottage abitato da un uomo che di mestiere faceva il manovale… No, alt, non vi sto raccontando la favoletta di Babbo Natale. Nato nella profonda Finlandia in piena Seconda guerra mondiale e morto triste, solitario e alcolizzato nel 1987, Viljo Gustaffson è la prova di come l’uomo, l’uomo qualunque, se messo in situazioni estreme d’isolamento o emarginazione sociale, riesca a sviluppare eccezionali doti creative.

Totem
Totem
Viljo Gustafsson
Legno intagliato

La chiamano arte grezza, quei quadri o quelle sculture partorite dall’estro spontaneo di persone totalmente prive di formazione artistica. Non so che scuole abbia frequentato il giovane Viljo, né se abbia mai messo piede in un museo o a una mostra d’arte. Ritirato nella sua casetta immersa nel mare di abeti, distratto semmai dalla compagnia di qualche scoiattolo o uccello di passaggio, lui dipingeva quadri a olio e intagliava sculture di legno, noncurante di qualsiasi scuola, tendenza, pubblico o gusto che non fosse il suo. All’arte per l’arte, l’arte per se stessa, lui opponeva l’arte per se stesso. Quadri che dovevano piacere a lui solo : nessun freno inibitorio, nessun canone estetico da rispettare.

Viljo Gustaffson riversava nell’attività artistica il piccolo mondo che lo circondava e l’universo di sensazioni che gli esplodevano dentro. Il rifugio appartato nel sottobosco, le radure nella foresta, le scure acque di un lago, le nuvole tinte di rosso, la flebile luce autunnale, le tenebre dell’inverno… Piccoli scorci di paesaggio silvestre venivano puntualmente contaminati da un motivo d’inquietudine, un particolare macabro, uno schizzo di follia. In Strani quartieri la tranquillità del tramonto è turbata da uno scheletro intento a scaldarsi in prossimità di un falò di teschi umani. Incubo ? Allucinazione ? Oppure fredda ironia scandinava ? In La morte che cura la casa per il pover’uomo il brivido è ancora più intenso. L’artista, vai a capire cosa gli passava per la testa. Forse una di quelle storie che si raccontano per far spaventare i bambini, oppure, facile ipotesi, il ricordo dell’ennesima, interminabile notte nella baita isolata.

Ragazza e serpente
Ragazza e serpente
Viljo Gustafsson
1982. Olio su tela

La solitudine tuttavia non è solamente fonte di malessere nelle opere dell’artista scandinavo. La solitudine rappresenta anche l’opposizione, il riflesso antagonista all’autorità sociale. In risposta all’uniformità che l’apparato statale impone agli individui, attraverso soprattutto il sistema scolastico, Viljo Gustafsson sceglieva l’isolamento fisico e spirituale : la via dell’arte era per lui la giusta alternativa ascetica. Solo e libero, libero e felice. Fino a quando non gli (mi) ristabilirono la connessione internet.

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