Credevo che si trattasse d’una storia inventata, un’ideazione cinematografica, una trovata da romanzo tesa ad alimentare il fascino diabolico dell’artista britannico. E invece molti sostengono ancora il contrario : molti sostengono che l’incontro tra Francis Bacon e George Dyer accadde così, una notte del 1963, lontano dai luoghi in cui il pittore era solito procurarsi piaceri effimeri e amanti di passaggio. Niente musica, niente chiasso, niente pinte di birra e partite a biliardo come avveniva negli affollatissimi pub del quartiere di Soho. Solamente il silenzio, l’inerzia, il buio dell’appartamento dove Bacon viveva e lavorava al 7 Reece Mews, South Kensington, Londra.

Francis Bacon
1968. Olio su tela
Fu un rumore improvviso, forse il tonfo d’un libro caduto al suolo, oppure il clangore d’un vetro infranto, fu un momento di panico a destare l’artista dal sonno. Chi va là ! esclamava eccitato, mentre accendeva le luci e scendeva le scale diretto allo studio al pian terreno… chi va là ! come per farsi coraggio davanti all’ignoto. Già gli era successo, nemmeno un mese addietro, di essere svegliato a un orario impossibile da un suono inquietante e precipitarsi giù dalle scale : e lì, sgradevole sorpresa, un grosso pipistrello intrufolatosi da una finestra lasciata aperta, una bestiaccia nera e pelosa che svolazzava tra tele, colori e l’immenso ciarpame accumulato in anni di lavoro matto e sregolatissimo. Che faticaccia, era stato cacciarlo fuori di casa. Quella notte d’autunno inoltrato, però, a lasciare di stucco il pittore non fu l’irruzione d’un animale. L’intruso, stavolta, era un giovane uomo di nemmeno trent’anni.
Lo sconcerto. In un primo momento fu lo sconcerto. Poi la paura. Poi un assalto di rabbia. Chi sei ? domandò l’artista ad alta voce, intanto che afferrava un vasetto di vetro appoggiato su un tavolo e faceva il gesto di scagliarglielo addosso : come sei entrato ? Guarda che te lo tiro ! Quello, il ladro, invece di darsi alla fuga o reagire in maniera violenta rimaneva immobile a fissare nel vuoto ; pareva spaventato non meno dello sconosciuto in pantofole e pigiama che lo minacciava con il piccolo oggetto. No… io non… balbettava come un bambino colto con la mano nel barattolo della marmellata. Accortosi presto dell’innocuità della situazione, Bacon prendeva del tempo per scrutare meglio il giovane uomo. Non era particolarmente alto, più o meno la sua stessa statura, ma aveva un viso armonioso e una corporatura forte, veloce, atletica, spalle robuste e vita stretta : la corporatura che solitamente ci si immagina per un giocatore di tennis, o al peggio un delinquente sfigato dell’East End londinese. Era infatti un delinquente sfigato, George Dyer, frequentatore abituale di riformatori e prigioni : i suoi reati non si spingevano oltre le semplici ruberie e le truffe da quattro soldi. Un furfante talmente maldestro d’azzardare un furto a domicilio senza prima accertarsi dell’eventuale presenza degli inquilini.
A Francis Bacon, tuttavia, distante anni luce dal sottobosco criminale della capitale britannica, quell’incursione domestica in piena notte fece un effetto stranissimo. Era il risveglio brutale, era la scarica d’adrenalina non ancora smaltita, era lo sguardo spaurito del ladro ; erano tutte queste cose messe assieme che produssero in lui un potente sentimento d’attrazione. Sei ferito ? gli chiese piano, notando che quello aveva un piccolo taglio sanguinante a una mano e che sul davanzale della finestra, accanto a un’anta appena dischiusa, giacevano alcune schegge di vetro. Come ? rispose l’uomo, sempre più confuso dall’imprevedibile comportamento del padrone di casa. Senza badare a ciò che egli diceva, ai suoi penosi tentativi di scuse, il pittore gli andò incontro e gli prese la mano, studiando da vicino la ferita aperta. Rosso, profondo rosso, porpora, marrone chiaro : per una volta si trattava d’un colore vivo, un colore reale, non una mistura di olii e additivi. Beh, commentò tra sé e sé, bastano del disinfettante e una benda, il taglio è poco profondo… del disinfettante e una benda… e tenendolo per il braccio lo accompagnò al piano di sopra. L’altro, Dyer, il ladro, lo seguì senza fiatare.

Francis Bacon
1966. Olio su tela
Da lì, da quell’insolito incontro notturno, nasceva una delle storie d’amore più tormentate dell’arte contemporanea. E dire che Francis Bacon ci era abituato, alle relazioni sofferte. Con il ricco banchiere Eric Hall, con il pilota d’aerei Peter Lacy, e soprattutto con l’uomo che più di tutti lascerà in lui una piaga incurabile, suo padre. Ma nel 1963, a cinquant’anni passati, l’artista aveva imparato la lezione, aveva imparato a difendersi. E in amore come in guerra, si sa, la miglior difesa è l’attacco.
Pochi mesi, pochi gesti, tanti indizi. Il pittore non ci mise molto per rendersi conto dell’estrema vulnerabilità del giovane amante, duro dal cuore fragile. Perché dietro le giacche eleganti e gli occhiali da sole, dietro l’aria vagamente spavalda da farabutto d’alto bordo, George Dyer celava un animo docile, solitario, incline talvolta alla malinconia. Nulla a che fare con gli stereotipi dei gangster spietati che si leggevano in libri e giornali – e sui quali l’artista ricamava le fantasie più spinte. Questa curiosa dualità fu per Bacon l’origine d’una profonda affezione, nonché una grandissima fonte d’ispirazione artistica. George Dyer seduto, George Dyer in piedi, George Dyer svestito, George Dyer in bicicletta… lo ritraeva in tutte le pose, in tutti gli umori, oltre quaranta dipinti in suo onore, quasi che la tela fosse uno spazio dove sublimare il loro tumultuoso rapporto amoroso. Nella vita reale, infatti, il carattere incostante e dispotico del pittore prese presto il sopravvento.
Londra, Parigi, New York : ovunque l’artista si recasse per inaugurare una mostra, il suo compagno era presente. Lui, ragazzo cresciuto per strada, insofferente ai banchi di scuola, scopriva il bel mondo dell’intellighenzia internazionale, e penava non poco a capire le quotazioni vertiginose raggiunte dai quadri di Bacon. Come potevano, dipinti talmente bizzarri, degni semmai del museo degli orrori, costare cifre da capogiro ? L’artista si divertiva, nel suo ruolo di pigmalione, ma il tenero idillio nascondeva un terribile lato oscuro. Liti, ripicche, scenate : i due oscillavano costantemente tra l’odio e l’amore. E se Bacon esercitava su Dyer una violenza psicologica, un sadismo che si alimentava di parole e di sguardi, Dyer, meno elusivo, ricorreva piuttosto alle maniere forti. Un giorno, in pieno delirio di gelosia, arrivò addirittura a saccheggiare l’atelier dell’artista.

Francis Bacon
1967. Olio su tela
Ma troppo rude, troppo coriacea era la scorza di Francis Bacon : l’intima guerra non poteva che saldarsi con la sconfitta del giovane amante, e provocare su questo conseguenze devastanti. Dalla piccola delinquenza George Dyer passò a un vizio altrettanto pericolo, il vizio dell’alcol. Iniziò a bere, bere parecchio, ben al di là del bicchiere di whisky giù al bar. E quando non beveva si abbandonava ai pensieri più neri. Avvilimento, crisi d’angoscia, manie autolesionistiche. Più d’una volta, in Inghilterra e durante un soggiorno in Grecia, l’artista dovette chiamare i soccorsi perché Dyer aveva ingoiato delle sostanze tossiche. Una spirale di depressione e psicosi alcoliche che portò alla rottura tra i due innamorati.
La storia tuttavia non era finita. Vedendo lo stato pietoso in cui s’era ridotto George Dyer, Francis Bacon non si sentiva d’abbandonarlo nel luogo in cui l’aveva un tempo raccolto, abbandonarlo per strada. L’artista in fondo non era il mostro di cinismo che dava talvolta a vedere. Generoso verso tutti i suoi cari, e forse anche roso da un sottile senso di colpa, continuò a passargli dei soldi, pagandogli addirittura le cure di disintossicazione in un centro di Londra e invitandolo alle mostre in cui erano esposti i suoi ritratti. E Dyer per un periodo riuscì a stare lontano da birra e liquori. Ma un giorno dell’ottobre 1971, appena prima dell’apertura della retrospettiva su Bacon presso il Grand Palais di Parigi, evento che s’annunciava per il pittore britannico come la consacrazione mondiale, i nervi dell’amante infelice non ressero: ingozzatosi d’alcol e medicine, fu trovato morto nella suite dell’hotel parigino dove alloggiava.
Pensare che tutto era iniziato una notte dei primi anni ‘60. Quando una volpe, sperando di fare un bel colpo, si era infilata nella tana del lupo.

L’incontro che ben sottolinea il significato di genio e sregolatezza. Francis Bacon arricchiva la sua orrenda bellezza creativa con il supporto del giovane disadattato, catturato da quell’esemplare di fragilità, sempre ricorrente nelle sue opere, ricche di esasperazione sul genere umano, scavando nei miserabili drammi privati di soggetti inqueti. Un geometra o un ragioniere non lo avrebbero mai potuto ispirare, e, se la cosa fosse accaduta, Bacon non sarebbe stato quel figlio di buona donna che fu.