A proposito de Il pianista di Roman Polanski

E ci siamo di nuovo, di nuovo vi parlo di cinema. Stavolta è il turno di un film drammatico che ho rivisto poco tempo fa, vincitore di un bel lotto di premi internazionali tra i quali la Palma d’oro al Festival di Cannes del 2002 : Il pianista di Roman Polanski. A essere raccontata, in questa diciassettesima pellicola diretta dal regista giramondo, è la storia vera del musicista polacco Władysław Władek Szpilman, il quale trascorse nella Varsavia occupata dalle truppe naziste i terribili anni della seconda guerra mondiale.

Lui, Szpilman, all’epoca dei fatti era un giovane e abilissimo pianista diplomato presso l’Accademia Chopin di Varsavia e l’Accademia delle Arti di Berlino, un virtuoso della musica che ben prima di compiere i trent’anni aveva già suonato per la Radio Polacca e composto opere sinfoniche, canzoni e colonne sonore cinematografiche. La sua sfortuna, condivisa d’altronde con moltissimi suoi concittadini, era quella di avere origini ebraiche, sicché con l’invasione della Polonia da parte dell’esercito tedesco nel settembre del 1939 lui e la sua famiglia furono assoggettati alle vergognose leggi raziali imposte dagli occupanti. Privazione del diritto al lavoro, limitazione nel possesso di denaro, obbligo di portare al braccio una banda di riconoscimento, divieto addirittura di camminare sul marciapiede : le umiliazioni fatte subire agli ebrei dai nazisti erano atroci, e quando nel 1940 venne imposta la reclusione della popolazione ebraica di Varsavia nel ghetto al centro della città, uno spazio recintato e quasi privo di comunicazioni con l’esterno, anche gli Szpilman furono costretti a trasferirvisi.

Addio musica, addio belle speranze, addio libertà per il giovane pianista, ma la tragedia più grande, quella che probabilmente lo marcherà per il resto della vita, avvenne il 16 agosto 1942, data in cui tutta la sua famiglia fu caricata su un treno diretto al campo di sterminio di Treblinka. A lui, rimasto solo nella capitale polacca, disperato e ormai poverissimo – in una situazione simile a quella toccata in sorte al regista del film nella Cracovia sotto il giogo nazista – non restò che cercare di tirare avanti con espedienti, nascondendosi presso amici o conoscenti e svolgendo mestieri di fortuna. Ancora mesi, ancora anni di stenti e sofferenze per Władysław Szpilman, talmente alla deriva da ritrovarsi a vagare, all’indomani della distruzione della città nell’ottobre ‘44, tra i resti di quello che era stato il ghetto ebraico, e qui rifugiarsi nella soffitta di un edificio sconquassato. Ma quando tutto sembrava perduto, lasciato all’estrema desolazione, ecco che gli si presentò una possibilità di salvezza : scoperto nel suo nascondiglio da un ufficiale dell’esercito tedesco, Szpilman riuscì a stabilire con lui una speciale complicità fondata sul comune amore per la musica, e così sopravvivere fino al termine del conflitto.

La vicenda del pianista ebreo, narrata peraltro nel suo libro autobiografico scritto appena dopo i tristi eventi, sembra seguire una traiettoria che accomuna diversi film di Polanski : la traiettoria discendente di un personaggio che vede la realtà circostante pian piano chiuderglisi addosso, condurlo suo malgrado verso un vicolo cieco, un cul-de-sac – da cui il titolo di una delle prime opere del regista. In questo caso, però, la caduta nell’abisso è sventata all’ultimo dalla forza miracolosa che il protagonista ritrova nella passione musicale.

Nella capitale in rovina di un paese martoriato dalla guerra e dalla ferocia nazista, un uomo emarginato, un derelitto, suonava al pianoforte una ballata di Chopin, si abbandonava all’incanto della musica, l’incanto dell’arte, astraendosi da un mondo che pareva non volerne più sapere di lui e contemporaneamente riscoprendo se stesso. Oggi, in tempi di pandemia e crisi climatica, quando si parla tanto di resilienza, quella speciale capacità dell’individuo di fronteggiare le avversità in maniera morbida, in maniera intelligente, a me piace immaginare una persona, uomo o donna poco importa, che in questo stesso momento si trovi a casa, da sola, sconnessa da qualsiasi computer, televisione, radio, telefono, applicazione o canale di comunicazione : isolata da quanto avviene altrove, combatte la propria battaglia silenziosa. Magari armata solamente di una tela, un pennello e una tavolozza di colori.

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2 risposte a "A proposito de Il pianista di Roman Polanski"

  1. Qualsiasi essere umano riesca in perfetto isolamento, a far funzionare ancora, se non i propri talenti, ma almeno l’intelligenza del pensiero, salverà non soltanto sè stesso dall’abulia opprimente della solitudine e della depressione, ma anche gli altri che avranno la fortuna di incontrarlo poi e di ricordarlo come esempio di forza di carattere. Da un buon esempio possono scaturire insperate positività e, qualche volta piccoli miracoli ci accompagnano.

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