Ci siamo, con questo post arriviamo a quota 300. Non so se si tratti di un bel traguardo per un blog aperto da ormai quasi 6 anni, a ogni modo si tratta di un bel traguardo per me : e questo, in fondo, è ciò che realmente conta. A festeggiamento del lieto evento, ho deciso di pubblicare un testo di cui non sono io l’autore. Simbolismo hippy è un fantasioso divertissement che Eva Colombo ha scritto ispirandosi al rapporto che unisce due universi di primo acchito molto distanti, quello tra pittura simbolista inglese e controcultura degli anni Sessanta e Settanta del Novecento.

John William Waterhouse
1888. Olio su tela
Eva Colombo, Simbolismo hippy
È notte e non dormo. Non piove più. Per tutto il giorno il tambureggiamento ipnotico della pioggia ha percosso il mio ombrello, ed ora che sono finalmente al riparo non piove più. Ma sono davvero al riparo? Sento ancora quel tambureggiamento…non è più la pioggia, chissà cos’è. È stato uno di quei giorni di novembre in cui la mia vita anziché fluire si accartocciava come una foglia morta…tutte le strade che percorrevo sembravano scale di Escher, gli occhi di tutti quelli che incrociavo sembravano vicoli ciechi. Ed ora non posso dormire anche se gli occhi mi lacrimano per la stanchezza…qualcosa ancora percuote le mie tempie con un tambureggiamento ipnotico. Non è la pioggia, non sono le mie lacrime…e nemmeno il mio cuore. Va bene, lo confesso…io so cos’è che tambureggia nel cuore della notte. È un racconto che non può essere raccontato, un racconto che io conosco…e che non racconterò, non posso, non voglio raccontarlo. Ma il suo tambureggiamento ipnotico non mi lascia dormire e mi costringe a sporgermi pericolosamente su di lui, a guardarlo. Devo pur lasciar filtrare qualcosa di questo racconto, devo pur portarne alla luce qualche frammento se voglio meritarmi un po’ di sonno. Ma la mia voce trema…come potete comprendere quel che devo raccontare se la mia voce trema con un gorgoglio da lavandino intasato…i miei occhi stanchi lacrimano mentre guardo qualche frammento di questo racconto riemergere…va bene, mi limiterò a descrivere questi frammenti, non sono in grado di fare altro. Il tambureggiamento continua: chiaro e preciso, così reale…magari le mie parole potessero arrivare a voi altrettanto chiare e precise, altrettanto reali…

Dante Gabriel Rossetti
1874. Olio su tela
Il primo frammento è questo. Una notte di novembre, una giovane donna la cui vita non fluisce che guarda la Lady di Shalott ritratta da John William Waterhouse nel 1888. Guarda il suo abito bianco ed i suoi capelli rossi, la mano che sgancia la catena che tiene ormeggiata la barca e le labbra che si socchiudono per esalare il canto del cigno. Guarda la Lady di Shalott che ha intravvisto per un istante l’amore riflesso in quello specchio che per lei era tutta la vita fino al momento in cui vi ha intravvisto l’amore…e lo specchio si è rotto… Guarda la funerea barca nera e l’acqua del fiume che non ricongiungerà la Lady di Shalott alla vita…Ed improvvisamente la giovane donna la cui vita non fluisce ricorda qualcosa. Era il novembre del 1967, a San Francisco. La Lady di Shalott dall’abito bianco ed i capelli rossi ondeggiava fluida sul poster che Bob Masse aveva disegnato per il concerto di Janis Joplin all’Avalon Ballroom, sabato 25 novembre 1967. Sì, ecco dove l’aveva vista: quella sera all’Avalon Ballroom c’era anche la Lady di Shalott. L’oro rosso dei suoi capelli illuminava sentieri ignoti che lei non vedeva l’ora di percorrere, le sue mani intrecciavano corde con cui dare l’assalto al cielo, i suoi piedi nudi ballavano sui cocci dello specchio senza ferirsi…
Il secondo frammento è questo. Una notte di novembre, una giovane donna la cui vita non fluisce che guarda la Proserpina ritratta da Dante Gabriel Rossetti affacciarsi da una delle finestre della copertina dell’album dei Led Zeppelin Physical Graffiti, 1975. La giovane donna la guarda e ricorda di averla già vista…non nel caseggiato di Manhattan che compare sulla copertina del disco ma in un altro edificio di Manhattan: quello degli Electric Lady Studios. Sì, ne è certa: era una groupie dallo sguardo triste e l’abito che sembrava fatto d’acqua increspata dalle vibrazioni del rock. L’aveva vista scendere una scala che conduceva ad uno scantinato dove questa groupie malinconica sosteneva di poter sentire lo sciabordare del Minetta Creek ( il corso d’acqua sotterraneo che percorre Manhattan ).

Sì, andava lì per ascoltare l’acqua e per pensare…da sola, al buio. E mentre il fumo della sigaretta le carezzava il volto, pensava. Pensava agli artisti che in quello stesso edificio stavano creando le loro opere d’arte modellando l’argilla che lei stessa aveva preso per loro dal letto del fiume nero della sua malinconia. Dicevano che lei era una musa, la loro musa. E lei sapeva che le muse sono dee connesse alla memoria ed alla luna…la luna scompare e riappare, cambia volto e resta sempre la stessa. Si domandava se anche lei sarebbe riapparsa in futuro, col volto mutato ma sempre la stessa…si domandava se gli artisti l’avrebbero riconosciuta, se si sarebbero ricordati di lei…Poi qualcun altro scese in quello scantinato, un artista che la conosceva bene. Si avvicinò a lei senza parlare, sapeva che stava ascoltando l’acqua e pensando…la guardò negli occhi illuminati dal bagliore della sigaretta cercandovi i suoi pensieri tra il riflesso del fumo. Lei lo implorò di non catturare il suo pensiero…almeno per una volta…lo implorò di non immobilizzare il suo pensiero nel cristallo dell’arte, di non condannarlo a restare eternamente uguale a sé stesso. Che almeno per una volta il pensiero che si esalava da lei insieme al fumo della sigaretta potesse assaporare la gioia di perdersi e di ritrovarsi diverso. Implorò l’artista di lasciarla uscire da quello scantinato per poter soffiare il suo pensiero nel mare dove tutto muore per rinascere…Sì, voleva raggiungere il mare…Salì le scale inseguendo il miraggio di una via d’uscita, le sue mani contro le porte chiuse producevano lo stesso scalpiccio delle ali di una rondine spersa nei meandri della trasmigrazione. Riuscirà ad uscire da lì, prima o poi. E raggiungerà il mare. Rivers always reach the sea ( Led Zeppelin, Ten Years Gone, Physical Graffiti ).
Sul mio sito COLCHICO MELANCONICO ho pubblicato la versione inglese di questo testo col titolo A tale that can’t be told, first chapter: Women whose life doesn’t flow. Data la materia trattata, mi pare che in inglese “suoni” meglio…
In questo modo anche gli anglofoni sono accontentati 🙂