Tra i due ero indeciso : Loving Vincent o The Square ? Il primo è un film d’animazione ispirato alla pittura di Vincent van Gogh, il secondo ha vinto la Palma d’oro all’ultimo Festival di Cannes. La poesia di van Gogh contro il luccichio della Croisette, ovvero il desiderio d’infinito contro la voglia di un bel gelato al limone. Scelta spinosa. Alla fine domenica scorsa ho visto The Square : non tanto per una particolare predisposizione verso il film (ha vinto la Palma, e allora ? pure Mario Brega ne ha vinta una, di Palma), quanto perché l’orario in cui il cinema lo programmava mi risultava più comodo. Il senso pratico, checché se ne dica, ha ragione su qualsiasi criterio estetico o simpatia personale.
Scartando van Gogh, pensavo allora entrando nel cinema, scartavo anche l’occasione di vedere qualcosa di cui poi parlare nel mio blog : addio van Gogh, addio post cinematogrartistico. E qui invece mi sbagliavo. Silenzio in sala.
La Palma d’oro di Cannes 2017, la pellicola che stando alle cronache ha talmente entusiasmato il presidente della giuria Pedro Almodóvar da fargli improvvisare passi di flamenco in crocs e bermuda, è un film che in due ore e mezza parla di un sacco di cose, la società svedese, la società borghese, il piccolo borghese, il medio borghese, i bassifondi e chi il fondo non l’ha ancora toccato, l’uomo, la donna, i figli, la famiglia, la famiglia che non c’è più, la rettitudine morale e l’orgasmo artificiale… ma oltre a questo, questo tanto, questo forse troppo, The Square tratta anche un argomento che mi sta particolarmente a cuore. The Square è un film che tratta di arte contemporanea. (E ora sono c@/^i).
Opera del regista svedese Ruben Östlund, The Square narra la vicenda di un uomo che pare la trasposizione cinematografica dei tanti quarantenni, alti, eleganti, colti, divorziati che hanno ormai invaso le serie televisive. Punto di distinzione di Christian, il protagonista del film, consiste nel mestiere che si è scelto : in un mondo ormai invaso da quarantenni alti, eleganti, colti e divorziati che di lavoro fanno i poliziotti, i medici, gli scrittori e persino i mentalisti, lui è curatore presso un prestigioso museo d’arte moderna e contemporanea di Stoccolma.
Organizza le mostre, per dirla in breve : trova una tematica e procura al museo le relative opere da esporre.
La mostra in cui ora il nostro uomo è impegnato ruota attorno a un’installazione luminosa a pavimento di forma quadrata, lo Square cui fa riferimento il titolo del film, uno spazio definito da Christian stesso come un santuario di fiducia e amore al cui interno abbiamo tutti gli stessi diritti e doveri. Mentre là fuori, nel mondo esterno, le persone vivono nell’indifferenza e nell’egoismo, in questo luogo di pochi metri quadrati viene realizzata un’utopia altruista. Un’idea totalmente beota, concedetemelo, ma in cui Christian pare credere davvero. A riportare il protagonista alla realtà ci pensa il resto del film : malgrado le migliori intenzioni, l’uomo si confronterà a situazioni che manderanno in frantumi la sua ideale campana di vetro, portandolo a commettere a sua volta azioni riprovevoli : menzogne, minacce, doppi giochi. Ma alla fine non mancherà lo spiraglio di redenzione.
Beh, tutto qui ? Sì, vi avverto, la trama di The Square non brilla certo per originalità. Un buono che si scopre meno buono ma poi forse diviene buono davvero (Almodóvar ha parlato di parabola sulla dittatura del politicamente corretto…). Tra discorsi, silenzi, immagini piene e immagini vuote non mancano poi momenti divertenti, se non di vero spasso, come la scena dell’artista che si finge una scimmia durante il gala d’apertura della mostra, oppure la demenziale intervista a Christian da parte della giornalista americana. Bene, vi starete chiedendo, ma alla fine The Square mi è piaciuto o no ? Mi è piaciuto, ovvio che mi è piaciuto : bello come quei mucchietti di terra che nel film si vedono esposti nella sala di un museo, complesse invenzioni di arte concettuale. Poi, ripeto, ha vinto la Palma…