Kumu : che nome curioso per un museo. Deriva dall’abbreviazione di Kunstimuuseum, che in estone significa semplicemente “museo d’arte”. Il Kumu è una delle più importanti istituzioni museali dell’Estonia, nonché di tutti i paesi baltici, vantando una collezione d’opere artistiche che va dal diciottesimo secolo fino ai giorni nostri. Quadri, sculture, disegni, e dato che adesso vanno tanto di moda, anche alcune installazioni. Per lo più si tratta di arte locale, ma non manca qualche incursione oltre confine.
Persino sotto il profilo architettonico, il Kumu è qualcosa di notevole : la sua struttura spigolosa, fatta di curve e pareti cristalline, pare incassata nel grande terrapieno retrostante, rendendo forse l’idea di un bunker avveniristico. All’ultimo piano, poi, quello solitamente dedicato alle mostre temporanee, c’è una grande finestra (o sarebbe meglio dire una feritoia allungata ?) che spalanca la vista sulla capitale estone : oltre il grande parco che circonda il museo, in direzione dei nuovi edifici commerciali, quasi si scorge la cinta muraria del centro storico, mentre spostate più a nord si distinguono le navi attraccate al porto. Mi piace, il Kumu di Tallinn.

Eduard Wiiralt
1931. Acquaforte
Dalla visita di questo importante luogo culturale, com’è oramai mia abitudine, sono uscito con una bella raccolta di eccentrici souvenir, alla maniera di quei turisti che una volta, prima dell’invasione digitale, tornavano dalle vacanze con il rullino fotografico da sviluppare o una piccola collezione di cartoline illustrate acquistate all’edicola. Tra le tante amenità che dal Kumu mi sono riportato a casa, beninteso sottoforma di ricordo, figura al primo posto un bellissimo disegno dell’artista estone Eduard Wiiralt : Cabaret, opera realizzata con l’antica tecnica dell’acquaforte su rame.
Nato nel 1898 nel distretto di San Pietroburgo, figlio di due domestici che lavorano presso una dimora signorile, all’età di undici anni Eduard Wiiralt s’installa con la famiglia nel territorio oggi identificato come Estonia ma all’epoca ancora assoggettato al dominio della Russia zarista. Un ragazzo con le idee chiare, il giovane Wiiralt : la sua intenzione è diventare artista di professione, a lui piace disegnare, cosicché ancora adolescente s’iscrive a una scuola di arti applicate a Tallinn per passare poi all’accademia di belle arti di Tartu e infine a quella di Dresda, in Germania.
Fatte le prime prove come illustratore di libri e scultore, nonché come insegnante d’arte a Tartu, nel 1925 ottiene una borsa di studio per perfezionarsi presso l’Académie de la Grande Chaumière a Parigi. Troppo facile lasciarsi coinvolgere nell’atmosfera bohemien della ville lumière : Eduard Wiiralt esce la sera, fuma, beve, passa diverse ore ai tavolini dei bar parigini, ma quello dedicato alle crapule non è per il giovane artista tutto tempo perso. Le sale da concerto, i ristoranti, i teatri, le strade cittadine in cui bazzica più spesso lasciano un’impronta notevole nell’immaginazione del pittore, che dall’esistenza sregolata e soprattutto dalla variegata umanità con cui entra in contatto trae una profonda ispirazione : il grottesco nell’arte nasce dal grottesco della vita reale.
Di poco successivo all’Inferno, probabilmente il suo capolavoro, nel 1931 arriva il nostro Cabaret. Un quadro dipinto sogghignando, il Cabaret di Wiiralt, omaggio tragico alla musica jazz che con le sue sonorità nuove, improvvisate, talvolta disarmoniche sta conquistando anche l’Europa, e ritratto decadente di una società completamente allo sbando. Al violino in formato gigante, infatti, abitato da bizzarri suonatori, fa da contraltare un affastellamento di personaggi mostruosi in preda al turbinio della festa, della danza, del ritmo diabolico. Non è un moralista, il pittore estone, ma il suo non è nemmeno lo sguardo di un cinico. Lui dipinge quello che vede : un’orchestra che suona, gente che balla. A ciascuno poi di dedurne le libere conclusioni.
A me piace, il Cabaret di Eduard Wiiralt.
Al primo sguardo mi ha ricordato il “Giardino delle delizie” di Bosh. Ma riflettendoci, “Cabaret” non sembra comunicare né un avvertimento, né un giudizio (che forse si percepisce in Bosh); non vi leggo altro che l’appagamento di una curiosità soddisfatta. Anche questo è l’Uomo – lo sento dire. Di una cosa divento sempre più consapevole osservando le immagini che gli uomini hanno dato di sé stessi: siamo strani, misteriosi. Esseri insoliti (ogni essere lo è a modo suo, d’altra parte). Mi diverto davvero tanto guardando opere che colgano questo aspetto degli uomini, che li ritraggano come “strani”.
È un piacere scoprire con questi articoli artisti ed opere.
Anche a me il disegno di Eduard Wiiralt ha ricordato lo stile di Bosch. Non so se l’artista estone si sia ispirato al maestro olandese.
Ti ringrazio tanto per avermelo fatto conoscere!
Un caro saluto
Adriana
Grazie a te Adriana 🙂