Il mio modo di pianificare le vacanze è quello del turista fai da te : la meta è scelta in funzione della presenza di voli low cost provenienti da Lione Saint Exupéry o Bergamo Orio al Serio ; per l’alloggio, finché tiene la vescica, cerco di prediligere cameroni a sei posti in chiassosi ostelli della gioventù ; il periodo dell’anno in cui di solito prendo le ferie, infine, rispecchia il timido anticonformismo a cui tento d’aspirare : inizio autunno o metà primavera.
Dopo la Lituania lo scorso anno e Kiev nel maggio di due anni fa, stavolta Ryanair mi ha portato in una località ancora poco frequentata dagli stormi di turisti in bermuda e infradito : Riga, capitale della Lettonia, città più popolosa nelle Repubbliche Baltiche e importante porto commerciale alla foce del fiume Daugava. Una destinazione estranea al circuito europeo delle immense metropoli, ma che dal punto di vista artistico mi si è presentata come una piccola, preziosa rivelazione.
Il centro di Riga, infatti, oltre a vantare un discreto numero di teatri e sale d’esposizione, appare quale un grande museo a cielo aperto : nella capitane lettone, lo sanno ancora in pochi, si trova la più alta densità di edifici in stile Liberty al mondo. Più di 800 palazzi costruiti e decorati secondo il gusto che andava per la maggiore nell’Europa della Belle Époque, a cavallo tra diciannovesimo e ventesimo secolo, quando nelle città di Parigi, Vienna, Bruxelles, Berlino, Glasgow e Milano furoreggiava il movimento artistico internazionalmente conosciuto come Art Nouveau e noto in Italia anche con i nomi di stile floreale o per l’appunto stile Liberty.
Nell’arco degli anni in cui si vide invasa da questo nuovo canone architettonico, in rottura con il passato e al tempo stesso venato di un’evidente malinconia, Riga non era ancora capitale dello stato lettone ma parte dello sterminato impero zarista. A Riga si parlavano il russo, il lettone e anche parecchio tedesco. Una città in rapido sviluppo economico e demografico, estremo bastione della rivoluzione industriale : questa era la Riga d’inizio ‘900, troppo proiettata nell’avvenire per accogliere ancora nella propria area urbana fortificazioni d’origine medievale o fragili abitazioni in legno.
L’impulso a lanciarsi verso il nuovo, verso la dirompente Art Nouveau venuta dall’ovest, arrivava in concomitanza con l’abbattimento di parecchie delle vecchie costruzioni : giù la putrescente cinta muraria, giù le case malandate dei sobborghi limitrofi. Spazio all’estro di Konstantīns Pēkšēns, Mikhail Eisenstein (padre del celebre regista sovietico Sergei Eisenstein !) Rudolph Dohnberg, Paul Mandelstamm, Jānis Alksnis, Bernhard Bielenstein e tutti gli altri architetti lettoni, russi e tedeschi impegnati nel dare un volto inedito agli edifici cittadini.
Nel giro di pochi lustri, all’alba del ventesimo secolo, la città baltica subiva quello che agli amici modaioli piace chiamare restyling, una ristrutturazione radicale improntata al moderno spirito Art Nouveau. La fisionomia dei nuovi palazzi rispondeva prima di tutto al criterio di funzionalità, bisognava edificare abitazioni solide, imponenti, durature nel tempo : la scelta dei materiali e l’aggiunta di decorazioni non dovevano interferire con la struttura generale delle costruzioni. A oltre cent’anni dalla loro realizzazione, infatti, moltissimi edifici stanno ancora in piedi.
Visto poi che anche l’occhio vuole la sua parte – e l’occhio borghese, si sa, è un occhio abituato bene – le facciate, gli androni, le scalinate interne, i tetti dei palazzi erano puntellati qua e là da fregi, volte, arabeschi, raffinati bassorilievi. L’Art Nouveau predicava un’eleganza sobria, purificata dagli eccessi della tradizione barocca ma non per questo austera.
Forse per contrastare il grigiore del cielo e il clima pungente delle alte latitudini, nonché reagire al rigorismo razionalista proprio dell’era industriale, la città veniva tinta di azzurro, di bianco, di giallo ocra, colori delicati che rivitalizzano il cemento degli edifici, mentre motivi vegetali comparivano sulle pareti esterne dei palazzi, e volti scolpiti nella pietra mostravano espressioni enigmatiche o socchiudevano la bocca come a intonare misteriosi canti silenziosi. Le forme naturali, adombrate dalla freddezza delle macchine, dell’artificio, dei mezzi di produzione moderni, partivano alla riconquista dello spazio urbano.
Il turista che si aggira oggi per le vie di Riga, nel centro cittadino e soprattutto nei quartieri un poco più a nord est, nella mitica Alberta iela cuore dell’Art Nouveau righese, non s’imbatte più in vetture trainate da cavalli o distinte signore con copricapi floreali : la Belle Époque è finita da un pezzo, portata via dall’occupazione sovietica e da quella nazista, ma in alcune strade, sotto certi androni, si percepisce una sensazione strana, comune solo a poche altre città della vecchia Europa. La sensazione che sotto la polvere, scavando nelle macerie della Storia, si trovino ancora le tracce di un mondo troppo nuovo per essere vero.
Una risposta a "Riga, città di Art Nouveau"