Lo guardi. Aggrotti le sopracciglia storcendo lievemente le labbra. Probabilmente non è questa la prospettiva giusta, pensi. Allora fai il giro : prima dai piedi in su, ora lo osservi dalla testa in giù. No, ti convinci, poco conta il punto di vista : è una semplice questione di dimensioni. E anche scrutando le espressioni imbambolate degli altri visitatori, capisci di trovarti davanti a qualcosa di grosso. Grosso. In tempi di politicamente corretto, forse non è questa la parola più appropriata per descrivere l’Ascetic Surgery di Daniele Accossato. Però le cose stanno proprio così : l’opera dell’artista torinese è una scultura grossa.

Daniele Accossato
2009. Lattice naturale, pigmenti, tavolo, lenzuoli
Un ammasso di lattice dalle fattezze umane, troppo umane, sovraumane ; a venire rappresentato è nientemeno che il corpo del Buddha, un essere divino normalmente ritratto in posizione eretta o accovacciata, comunque in atteggiamento meditativo. Il Buddha di Accossato pare stare comodo, sdraiato a occhi chiusi e con il pollice a contatto dell’indice, un asceta talmente noncurante delle apparenze, delle forme esteriori, delle vanità, da sottoporsi volontariamente a un intervento estremo di chirurgia estetica. Le contraddizioni nell’arte, le contraddizioni della vita : quello che si chiama predicare bene e razzolare male.
Da un personaggio grottesco, curiosamente brutto, Daniele Accossato tira fuori una metafora sull’uomo moderno, l’uomo che ricerca la perfezione fisica con ogni mezzo, anche a costo di ricorrere alla liposuzione, e che al tempo stesso è attirato da un misticismo modaiolo in salsa new age. Il buddismo dei vegani, il taoismo referendario, la filosofia zen impartita durante il corso di aerobica. Come per la prova costume, pare suggerire la chirurgia ascetica di Accossato, anche la spiritualità moderna si misura in corrispondenza del girovita.