A spasso per la Repubblica di Užupis

Tutti hanno diritto di morire, ma questo non è un obbligo.
Art. 3 della Costituzione della Repubblica di Užupis

Non è un semplice quartiere di hippie attempati, direi piuttosto un isolotto anarcoide ai margini di Vilnius. La Repubblica di Užupis : un tempo area malfamata, frequentata per lo più da delinquenti e prostitute, oggi questa zona della capitale lituana fa Stato a se. Ha un presidente, un parlamento, una bandiera, persino una costituzione pubblicamente esposta e tradotta in diverse lingue. repubblica-di-uzupisDalle macerie del ventesimo secolo sono sbocciati i fiori e una tavola delle leggi che garantisce a tutti, tra l’altro, il diritto di oziare, il diritto di avere dei dubbi, e il sacrosanto diritto di essere infelici (sì, non mi sono sbagliato, ho scritto davvero infelici).

Raggiungere questo luogo ameno è facilissimo, non richiede passaporto né permessi speciali. A separare Užupis dal resto della Lituania, dal resto del mondo, è difatti un semplice ponticello che sovrasta il fiume Vilnia : al di là del corso d’acqua, al di là della logica di noi borghesi piccoli piccoli, si trova una realtà abitata da artisti, artigiani, intellettuali e buontemponi di ogni sorta, che qualcuno ha paragonato alla Città Libera di Christiania, dentro Copenaghen, se non addirittura al quartiere parigino di Montmartre.

Un luogo di creatività, direi anche un luogo d’arte, arte bohemien, che visitato sotto il cielo plumbeo della primavera lituana mi ha trasmesso quasi una sensazione nostalgica. Casette basse, sopravvissute alle trasformazioni che la città ha subito durante i decenni comunisti, botteghe manifatturiere, una statua angelica che si eleva al centro di una piazza, e curiosi dipinti, perlopiù anonimi, apposti sui muri esterni degli edifici. Chiamarla street art ? Dubito che sia il termine giusto. Arte grezza : grezza come la voglia di riempire di forme e colori una tela bianca immacolata.

uzupis-quadroIl disegno che ha trattenuto la mia attenzione, lasciandomi solo come un fesso intanto che la mia comitiva di turisti si allontanava, è un gigantesco ghirigoro in bianco (grigio) e nero a metà tra una visione di Escher e l’Alien di Hans Ruedi Giger. Un intrico di curve, tondi e volute che mette a dura prova lo sguardo dell’attento passante : che cosa si cela nel densissimo arabesco ? Occhi, zigomi, fronti, menti, guance. Visi quasi umani. E al centro, in leggero rilievo, due bizzarre figure che emergono dalla superficie ingarbugliata. Una donna, o quantomeno un personaggio dagli atteggiamenti femminili, e una minuscola creatura, elfo o folletto, intenta nell’(auto)completamento del dipinto. Così è l’arte, nella Repubblica di Užupis. Un’arte emancipata, un’arte che si crea da sé, libera quanto basta perché ciascuno la giudichi come vuole. O di preferenza, non la giudichi proprio.

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