Mi sono lasciato scappare la mostra sull’Art Nouveau, ma questa non potevo proprio perdermela. Umberto Boccioni (1882 – 1916) Genio e Memoria, dal 23 marzo al 10 luglio 2016 a Palazzo Reale a Milano, è un must della stagione, e così ho cercato di non cincischiare troppo. Già al primo weekend di apertura sono andato a visitarla.

Umberto Boccioni
1909. Carboncino, tempera e pastello su carta
La mostra dalle piacevoli sorprese. La prima, di sorpresa, è stata l’affluenza decisamente moderata con cui mi sono confrontato all’ingresso e nelle sale espositive. Forse perché si trattava del giorno di Pasqua : niente code, niente resse, niente capannelli di persone che ti impediscono di ammirare un quadro. E questo, credetemi, è già un ottimo inizio.
La sorpresa più importante, tuttavia, è il modo in cui i curatori hanno scelto d’imbastire l’esposizione. A Umberto Boccioni, infatti, Palazzo Reale aveva già dedicato tre importanti retrospettive : per evitare di cadere nella ripetizione o presentare un semplice percorso cronologico tra le opere di Boccioni, in questo caso si è cercato di mettere in evidenza le fonti (visive, poetiche, concettuali) che hanno influenzato lo stile di uno dei più celebri artisti italiani del secolo scorso. Non c’è quindi da stupirsi se quasi la metà dei quadri, disegni e sculture in esposizione non siano opera sua.

Umberto Boccioni
1908 -1909. Olio su tela
La parte iniziale della mostra è rivolta alla formazione del giovane Boccioni, molto più eterogenea e attaccata alla tradizione di quanto ci si possa aspettare da colui che oggi viene considerato tra i maggiori esponenti del movimento futurista, movimento per natura incentrato sul superamento del passato e di qualsiasi corrente artistica irriducibile al futurismo stesso.
Nato a Reggio Calabria nel 1882 da genitori romagnoli, Umberto Boccioni vive l’infanzia e l’adolescenza su e giù per l’Italia a causa della professione del padre, commesso di prefettura. Dalla Calabria al Veneto, da Padova a Catania, dalla Sicilia a Roma il giovane Umberto si accosta alle arti visive cominciando a lavorare come apprendista presso la bottega del noto cartellonista romano Giovanni Maria Mataloni, e divenendo poi, nel 1902, allievo del pittore Giacomo Balla.
L’arte del ritratto e della prospettiva ravvicinata, il primo piano. Le lezioni pratiche di Balla sono le basi da cui scaturiscono i primi importanti quadri di Boccioni, tra cui il notevole La nonna o il successivo Autoritratto, disegno a tempera e pastello in cui il pittore si raffigura in un’insolita inquadratura con le spalle di profilo e la testa voltata di tre quarti, come catturato da un inaspettato scatto fotografico. La variegata educazione del giovane artista, fedelmente documentata nell’Atlante della Memoria, un grande album di riproduzioni artistiche composto da Boccioni stesso, corrisponde quasi a un diario di viaggio.

Anders Zorn
1894. Olio su tela
Da ogni luogo, città o paese visitati, il pittore trae spunti e suggestioni da riversare nei propri dipinti : impossibile allora non scorgere, soprattutto nei suoi primi lavori, evidenti influenze della tradizione antica e della pittura post-impressionista scoperta a Parigi e nei grandi musei europei. E tra i capolavori di Rembrandt, Dürer e Van Dyck, trova spazio nel cuore del giovane Boccioni anche il Ruscello (Frileuse) dell’artista svedese Anders Zorn. Il motivo di tale predilezione ? Penso d’intuirlo, ma per una volta preferisco non abbassare il tono del discorso.
Tappa decisiva nel percorso artistico di Umberto Boccioni è il trasferimento a Milano nell’autunno del 1907, dove avviene la scoperta della corrente pittorica divisionista tramite i lavori di Giovanni Segantini e Gaetano Previati. Segantini e Previati: su questi due artisti gli organizzatori della mostra non si sono davvero risparmiati. Fra le loro numerose opere presenti, alcune delle quali sono a mio parere tra le più belle di tutta l’esposizione, svetta il magnifico L’angelo della vita di Segantini, normalmente conservato alla Galleria d’Arte Moderna di Milano.

Giovanni Segantini
1894. Olio su tela
Un olio su tela da osservare a una certa distanza : alto quasi tre metri, pare la porta d’ingresso in un universo parallelo, fantastico, una dimensione mistica della realtà. Un albero dai rami grigi e nodosi, una betulla, si allunga in profondità incorniciando una calorosa scena di amore materno, mentre sullo sfondo, isolate nel brullo paesaggio montano, fredde si stagliano le acque di un lago. Un capolavoro dell’arte italiana di fine ‘800, ammirato da Boccioni soprattutto per la rappresentazione maestosa e simbolica che Segantini fa della natura.

Umberto Boccioni
1909 – 1910. Olio su tela
Dal punto di vista stilistico, i primi anni milanesi di Boccioni vengono però maggiormente influenzati dal divisionismo “ideale” di Gaetano Previati, di cui alla mostra sono presenti tra l’altro i giganteschi Maternità e Il carro del Sole. Una fitta trama di minute pennellate, l’accostamento di singoli punti e tratti cromatici che visti nell’insieme vanno a comporre una grande, coloratissima immagine unitaria. La tecnica divisionista italiana, sviluppatasi in parallelo al movimento puntinista di origine francese, è diligentemente messa in opera da Boccioni in lavori dalla profonda impronta personale, come Romanzo di una cucitrice o Tre donne, suggestivo ritratto della madre, della sorella e dell’amante dell’artista (lascio a voi indovinare chi è chi).

Umberto Boccioni
1911. Olio su tela
Ma il vero anno di svolta nella carriera di Boccioni è il 1910, quando assieme ai giovani artisti Carlo Carrà e Luigi Russolo scrive il Manifesto dei pittori futuristi, bozza del successivo e più complesso Manifesto tecnico della pittura futurista pubblicato a pochi mesi di distanza. Documentata non solo da pitture e disegni ma anche da scritti e articoli di giornale, dove nella prosa vagamente ampollosa della Belle Époque potete leggere le imprese di Filippo Tommaso Marinetti e compari, la fase futurista di Umberto Boccioni occupa la parte finale del percorso espositivo.

Umberto Boccioni
1913. Bronzo
E finalmente il Boccioni che conosciamo ! devono dirsi molti visitatori della mostra. Il Boccioni più noto, il Boccioni futurista è l’uomo che non si volta più indietro : avanti, l’arte deve guardare avanti. Verso il domani, verso l’inarrestabile progresso. Detto addio a molti dei suoi pittori e scultori di riferimento, ombra ormai di una cultura ottocentesca invecchiata, l’artista vuole spostare la prospettiva da cui va fruita l’opera. Il reale è in perpetuo movimento, e per riuscire ad afferrarlo la pittura e la scultura devono adeguarvisi. Da soggetto passivo, lo spettatore è posto al centro del quadro, al centro dell’azione, nella “fusione dinamica con l’ambiente e lo spazio in continua trasformazione” (questa, lo ammetto, non è mia : l’ho trovata scritta sul libretto a corredo dell’esposizione).
Ecco allora che compaiono nei quadri di Boccioni cavalli al galoppo, macchine lanciate a tutta velocità, paesaggi urbani in pieno fermento industriale. Oggetti di per sé inanimati o persone in carne e ossa vengono caricati dell’irresistibile energia sprigionata dalla sovrapposizione di figure, luce e ambiente circostante, creando un tutt’uno di forme e colori dove è quasi impossibile distinguere tra sfondo e primo piano, generale e particolare.

Umberto Boccioni
1912. Olio su tela
L’arte di Boccioni va ormai di pari passo con la sua vita, sempre più veloce, sempre più appassionata : fino al giorno in cui, tragica ironia della sorte, arruolato nell’esercito italiano di stanza a Chievo, nel pieno del primo conflitto mondiale, una caduta da cavallo ne arresta prematuramente la straordinaria avanzata. Fine della storia, fine della mostra.
Una risposta a "Umberto Boccioni, genio e memoria"