Si chiama empatia. Il suo nome deriva dal greco antico. Εμπαθεία (leggi empatéia) all’epoca dei poemi omerici indicava lo speciale rapporto di coinvolgimento che si veniva a creare tra il cantore e il suo pubblico. Oggi, passata di moda la declamazione dei canti epici, designa piuttosto una disposizione d’animo molto nobile ma anche molto rara. L’empatia nel XXI secolo è la facoltà di comprendere talmente a fondo i sentimenti di un’altra persona da arrivare alla completa immedesimazione.
Spiegata così, pare richiedere un grande sforzo. E invece il più delle volte è qualcosa che nasce spontaneo. Come l’amore. O come la muffa su un cibo scaduto. Uno sguardo empatico : si scruta l’altro alla ricerca di un indizio che ci permetta di capirlo, d’interpretarlo, di penetrare nel suo mondo interiore. E si finisce con il fissarsi vicendevolmente negli occhi.
Cosa dite, è la primavera che mi fa scrivere queste cose ? Sarebbe troppo bello : sventura vuole che questo blog non conosca le mezze stagioni. No, semplicemente sono capitato su una foto straordinaria. E pensate che il suo autore non è neanche un fotografo professionista.

Rembrandt
1665 – 1669. Olio su tela
Roel Foppen, 66 anni, olandese, dopo una carriera nell’esercito ora collabora con Stichting Ambulance Wens, una associazione il cui scopo è di permettere ai malati in fase terminare di realizzare gli ultimi desideri. Visitare un paese, rivedere delle persone care o ammirare opere d’arte che avrebbero sempre voluto scoprire. Un’attività molto lodevole, ma che difficilmente mette di buon umore.
Oltre a uno spirito generoso, Roel Foppen si porta dietro fin dalla giovinezza anche una grande passione per la fotografia. Una passione amatoriale che recentemente, tuttavia, è riuscita a cogliere un attimo che fotografi professionisti inseguono tutta una vita. Forse senza mai riuscire a catturare.
Era il 3 marzo scorso, mezzo pomeriggio, Foppen e il suo gruppo di volontari si trovavano presso il Rijksmuseum di Amsterdam per accompagnare un gruppo di tre malati desiderosi di contemplare per l’ultima volta i capolavori dell’arte fiamminga. E lì, l’illuminazione : una donna di 78 anni affetta da sclerosi laterale amiotrofica, morbo degenerativo causa di paralisi, adagiata su un lettino, davanti a un autoritratto a olio dell’immenso pittore olandese Rembrandt. Chi guarda chi ? Tra l’attempato artista dipinto e l’anziana signora sofferente pare nascere una complicità che trapassa la tela, per risalire il corso dei secoli. Oltre la realtà, oltre la finzione, al di là della vita. Persi in uno sguardo languido, pieno, sincero. Persi l’uno nell’altro. Persi nell’empatico.
Il miracolo della bellezza dell’arte anche quale terapia sulla sofferenza umana…