E anche stavolta gli è andata bene. Un morto, tre feriti, e a lui manco un graffio. Quando si dice nascere con la camicia : nella sparatoria al centro culturale Krudttønden di Copenhagen, sabato 14 febbraio 2015, i proiettili dell’attentatore erano destinati proprio a lui, l’artista svedese Lars Vilks, che tuttavia non ne è stato minimamente sfiorato. E pensare che già altri avevano tentato di farlo fuori.
L’americana Colleen LaRose, soprannominata “Jihad Jane”, che nel 2009 cercava di formare una banda d’integralisti musulmani determinati a ucciderlo. Ma anche un gruppo di sette individui di diversa provenienza, perlopiù yemeniti e marocchini, che nel 2010 pianificavano il suo assassinio ma erano prontamente arrestati dalla polizia irlandese. Oppure due giovani fratelli kosovari, che il 15 maggio dello stesso anno provavano a bruciargli la casa. E persino un insospettabile ragazzo diciottenne, che un giorno di pochi anni fa l’ha aggredito durante una conferenza all’università di Uppsala. Ma perché tutto quest’odio per un signore prossimo ormai alla settantina ?
La colpa di Lars Vilks è di aver cercato di fare troppo il simpatico : con i tempi che corrono, una battuta indelicata può facilmente urtare gli animi più sensibili. Quando poi si tira in ballo la religione, meglio munirsi di scorta armata. L’inizio della sua tragicommedia risale al 2007, quando Vilks è invitato da un’associazione di Tällerud, paesino dell’entroterra svedese, a prender parte a una mostra dedicata al tema “Il Cane nell’Arte”. Nel 2006 il gatto, l’anno successivo il cane. L’artista svedese, allora poco più che sessantenne, ha già la fama del sovversivo.
Titolare di un dottorato in storia dell’arte e insegnante presso l’Accademia Nazionale di Bergen, negli anni ’80 e ’90 aveva realizzato delle sculture clandestine in legno e pietra all’interno della riserva naturale di Kullaberg, nel sud della Svezia, e per sfuggire ai divieti delle autorità aveva persino proclamato l’indipendenza dell’area fondando la mini-nazione di Ladonia.
Quando pertanto gli viene chiesto d’interpretare a suo modo la figura del cane nell’arte, Lars Vilks propone tre disegni a penna su fogli di carta A4. A venir rappresentato è il profeta Maometto con il corpo di un cane di legno, un roundabout dog, un tipo d’installazione urbana che in quel periodo anonimi svedesi collocano in prossimità di rotatorie stradali (non chiedetemi per quale motivo). Che originale, il nostro Lars: stufo che Israele e Stati Uniti siano i bersagli favoriti dell’arte svedese, decide di sferrare una provocazione verso i valori musulmani. Ma come osa quest’impertinente disegnare un cane che non è un cane, un fantoccio di legno dalle sembianze di un cane, con la testa di Maometto?
Più per paura di ritorsioni da parte di fanatici religiosi che per reale convinzione personale, un giorno prima dell’apertura della mostra di Tällerud i curatori preferiscono escludere le caricature di Maometto disegnate da Lars Vilks. L’artista svedese tuttavia non demorde, e il 18 agosto del 2007 il giornale locale Nerikes Allehanda pubblica uno dei suoi disegni blasfemi a corredo di un editoriale su autocensura e libertà d’espressione. Il dado è tratto, Cesare ha guadato il Rubicone, la Bastiglia è presa d’assalto, Hitler ha invaso la Polonia. E Lars Vilks ha pestato una bella merda.
Iran, Pakistan, Egitto e Giordania non tardano a esprimere il loro sdegno per l’offesa nei confronti della religione islamica, qualche bandiera svedese viene bruciata in giro per il mondo e una taglia di 100 000 dollari (150 000 in caso di sgozzamento) viene messa sulla testa dell’artista svedese da parte di Abu Omar al-Baghdadi, il presunto capo dell’attuale ISIS. Da lì in poi la storia la conosciamo già. Mentre scandali e minacce amplificano la sua fama su scala mondiale, Lars Vilks dal canto suo non si preoccupa più di tanto. L’intera faccenda pare piuttosto eccitarlo : attentati, aggressioni, pirataggi informatici, tutto per lui rientra in un grande progetto, un viaggio fantastico intrapreso nel 2007 verso i limiti estremi dell’arte contemporanea.
Poco importa che di tanto in tanto partecipi a conferenze organizzate da gruppi anti islamici, o che tra le sue amicizie figurino individui condannati per incitamento all’odio razziale. Vilks l’anarchico, Vilks il provocatore, Vilks è l’uomo che se ne frega di tutto e tutti. Il giorno in cui un proiettile vagante metterà fine alla sua avventura temeraria, mi chiedo se di lui ci resterà il ricordo del martire della libertà d’espressione o del malcapitato buontempone che ha detto una barzelletta di troppo. In entrambi i casi, spero che quando leggerete questo post quel giorno non sia ancora arrivato. Mi spiacerebbe parlare di corda in casa dell’impiccato.