Ma la ruota di bicicletta di Marcel Duchamp è bella ?

No, non è bella. Ma non è neppure brutta. Potrebbe essere utile, ma così com’è montata, in cima a uno sgabello, non serve proprio a niente. Gira ? Certo che gira : è una ruota. Gira la ruota ! La Ruota di bicicletta di Marcel Duchamp gira in entrambi i sensi, orario e antiorario. Gira per aria, non va da nessuna parte. Il ruotare dei suoi raggi crea un effetto indistinto, vorticoso, vagamente opaco, simile a quello di un ventilatore. Ripeto : è una ruota, una semplice ruota di bicicletta montata su uno sgabello, un semplice sgabello. L’accostamento di due oggetti assolutamente anonimi, comuni. Il massimo della banalità, il massimo dell’arte moderna. O piuttosto : il punto di partenza dell’arte moderna.

Ruota di bicicletta
Ruota di bicicletta
Marcel Duchamp
1913/1964. Metallo, legno verniciato

Risale al 1913, anno in cui l’artista francese Marcel Duchamp si allontana dalla pittura per dare il via al fenomeno dei ready made. Le opere d’arte già fatte. Già presenti in natura. Opere artistiche che crescono sugli alberi. No, adesso sto esagerando. Il fatto è che questa volta la complessità del discorso m’intimorisce leggermente : vi chiedo pertanto di essere solo un po’ indulgenti. E di fermarmi nel caso mi metta a parlare (a scrivere) a vanvera.

Dicevamo… ah, giusto : che cos’è un ready made? A voler esser pignoli, un ready made non è un’”opera” nel senso comune del termine. Possiamo piuttosto considerarlo come un esercizio intellettuale, dissociabile dalla fisicità del suo semplice supporto materiale. Una riflessione sull’arte, sul fare arte, veicolata da un manufatto ordinario. Un’idea irriducibile all’unicità della creazione effettiva : della ruota di Duchamp esistono infatti diversi esemplari. Visivamente, esteticamente, percettivamente si presenta come un oggetto o una facile composizione di oggetti di uso quotidiano la cui praticità è soppiantata da una funzione nuova. Artistica ? Sì, diciamo pure artistica.

Prendete una ruota di bicicletta ed esponetela in una galleria d’arte, oppure in un museo. A fare da garante dell’artisticità dell’oggetto esposto è l’artista stesso. Se lo dice lui, se lo ha fatto lui, se l’ha firmato lui… evidentemente è un’opera d’arte. Tutto parte dall’artista, il quale ha la piena facoltà di giudicare ciò che è degno di rientrare nel campo artistico e ciò che invece può rimanerne escluso. La ruota di bicicletta su uno sgabello : non importa che sia bella o brutta, originale o banale, Montecchi o Capuleti. Quello che conta è il ruolo conferitole dall’autore.

Il discorso a questo punto parrebbe concluso, ma a pensarci un attimo è in verità incompleto. Se è l’artista che garantisce per l’opera, chi garantisce per l’artista ? Bella domanda. Noi. Il pubblico. Di questo Marcel Duchamp doveva essersene reso ben conto quando andava sostenendo che un’opera d’arte è il prodotto di due poli, il polo di colui che la crea e il polo di colui che la guarda. Io, spettatore, contemplo una ruota di bicicletta (o un ferro da stiro, o un porta bottiglie, o un orinatoio…) riconoscendola in quanto opera d’arte perché il contesto in cui è inserita, il suo autore, l’opinione corrente mi inducono a tale riconoscimento. Non le sue qualità estetiche. Tu, artista, puoi permetterti questo genere di sperimentazione perché… perché… perché… beh, perché sei un artista. L’artista, l’opera e lo spettatore. Il giuoco delle parti dell’arte moderna.


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