Sabato scorso c’era un sole che spaccava le pietre, un’afa allucinante e nemmeno una nuvola nell’immenso cielo blu. Insomma, era la giornata ideale per andare a una mostra d’arte. E così, occhiali da sole in testa e macchina fotografica in tasca, mi sono tuffato in un bagno di sudore per recarmi alla casa del guardiano del Parc Jouvet, a Valence, dove in questo periodo si sta tenendo la personale di un pittore francese locale, Jean-Paul Meiser. Un artista di cui non conoscevo praticamente nulla se non le poche informazioni contenute sul suo sito internet, sito che tra l’altro si apre con un’introduzione alquanto enigmatica che mi prenderò la briga di tradurre in italiano :
Imparare per non sapere
disimparare al fine di comprendere
dipingere per “diprendere” (come si traduce déprendre?)
appendere per dipenderne

Jean-Paul Meiser
2012. Legno e ferro
Ehm… Lo so, è poco chiaro. Probabilmente sono io incapace di rendere in italiano il senso e il ritmo di questa poetica dichiarazione d’intenti dell’artista. Mea culpa, vi prego di non volermene : il problema è che il significato del componimento mi sfugge già nella sua versione originale. Ma passiamo oltre. All’ingresso della mostra c’era un uomo sui settant’anni evidentemente affaticato dal caldo. Un altro folle, ho pensato io, che a una bibita ghiacciata a bordo piscina preferisce la profonda commozione intellettuale dell’arte moderna. Beh, si dava il caso che questo “folle” fosse Jean-Paul Meiser stesso, e la cosa mi ha sorpreso in modo talmente positivo (vi immaginate se a una mostra dedicata ad Anish Kapoor o Fernando Botero ci fossero gli artisti in persona ad accogliervi?) che mi sono subito messo a porgli le mie solite domande un po’ impertinenti : Sig. Meiser, le è mai capitato di mettere un piede in un secchio di vernice ? Preferisce dipingere a stomaco vuoto o a stomaco pieno ? L’età del primo bacio ? Sciocchezze a parte, Jean-Paul Meiser si è mostrato molto disponibile a raccontarmi il suo percorso artistico e a tentare di spiegarmi la genesi di alcune delle sue opere. Come il magistrato Gianrico Carofiglio che si è scoperto scrittore superata la soglia dei quaranta, anche Jean-Paul Meiser ha intrapreso la carriera di pittore e scultore a quarantacinque anni. Prima era insegnante in un istituto tecnico commerciale. Ma come ha percepito il richiamo dell’arte ? Meiser mi spiega che per lui l’artista è qualcuno che è capace di scorgere ciò che gli altri non vedono, e di rivelare in maniera inattesa alcuni aspetti banali della realtà. Questo mi pare rappresentato benissimo dalla sua scultura intitolata Profilo d’Achille : dove chiunque vede un semplice ceppo di legno e un’ascia appuntita di metallo, l’artista vede e ricrea in forma stilizzata il guerriero più famoso della mitologia greca. Uno a zero per Meiser !

Jean-Paul Meiser
2012. Stampa su carta
Stessa cosa vale per la serie dal nome latineggiante Les Involutales, delle stampe di colore nero che ricalcano su carta le forme di alcuni imballaggi disimballati : dove chiunque vede una semplice scatola di cartone, l’artista vede… vede… già, cosa vede? Degli oggetti da scomporre e ricalcare su carta. Questa l’ho capita un po’ meno, ma va bene lo stesso. Due a zero per Meiser!

Jean-Paul Meiser
2007. Plastica, rete metallica
Al piano superiore della mostra erano presenti delle opere più “tradizionali”, ovvero delle opere più accessibili alla mia ingenua comprensione. A far subito breccia nel mio cuore è stata la scultura Notre dame de Paris, non tanto per la sua qualità artistica quanto per avermi ricordato le incredibili serate primaverili a Pigalle con i miei amici Georges ed Henry. Tre a zero per Meiser ! L’artista mi dice di aver intitolato quest’opera come la famosa cattedrale parigina a chiaro scopo ironico, e dando un’occhiata anche ad altre opere mi rendo conto che effettivamente Jean-Paul Meiser è un gran burlone. Il suo umorismo acido non ha paura di prendere di mira nessuno. Nemmeno i suoi colleghi più illustri. Il povero Andy Warhol e la sua famosa teoria secondo cui nel futuro ognuno sarà celebre per 15 minuti, ispirano all’artista francese una scultura raffigurante una orripilante faccia metallica dall’espressione chiaramente disgustata su una griglia zincata. Io non ho ancora avuto il mio quarto d’ora di celebrità, s’indigna Meiser. Meglio rimanere nell’anonimato piuttosto che essere conosciuto da tutti come lo scemo del villaggio, dico io. Ma questa è solo la mia opinione, e l’artista non sono io. Quattro a zero per Meiser, allora.

Jean-Paul Meiser
2005. Metallo, griglia zincata, etichetta, vernice
Barcollante, stremato dalla calura estiva, non mi rimane che giocarmi l’ultimo round con un quadro composto dal collage di diversi manifesti e ritagli di giornale, appartenente alla serie dal nome curioso Marcia contro il vento. A FRIC s’intitola l’opera, e già dal titolo è un tardo sberleffo anticolonialista. A FRIC, infatti, è un’espressione francese che potremmo goffamente tradurre in italiano come “a soldi”. Una “usine à fric” è un’azienda che fa un sacco di soldi, una “machine à fric” può essere un oggetto/persona/animale che permette di fare un sacco di soldi… Insomma, penso di essermi fatto capire. Ma A FRIC all’orecchio di un francese suona anche come Afrique, Africa, creando così un doppio senso dal chiaro intento ironico: Africa, il continente per far soldi. Per chi e in che modo, non lo so. Quello di cui son certo è che dopo questo ennesimo duro colpo la mia vista ha iniziato ad annebbiarsi e la testa a girare. Le gambe mi si sono afflosciate, lasciandomi stramazzare al suolo. Cinque a zero per Meiser, che vince per k.o. all’ultimo round.

Jean-Paul Meiser
2010. Dipinto su fondo di manifesti
Una risposta a "Mostra di un pomeriggio di mezza estate"