Oggi ho voglia di fare una gita fuori porta, condurvi in un posto unico al mondo. State già sognando spiagge tropicali o paesaggi estremi ? Magari un’altra volta. Il navigatore oggi è impostato su Hauterives. Cosa ? Non conoscete Hauterives ? Beh, fino a una settimana fa neppure io. E probabilmente il mio disinteresse verso questo piccolo borgo a un’ora di macchina da Lione sarebbe continuato fino alla fine dei miei giorni se non fosse stato per Ferdinand Cheval, meglio conosciuto con il nome di Facteur Cheval (che tradotto in italiano suona come il Postino Cavallo).
Ferdinand Cheval nasce nel 1836 a Charmes-sur-Herbasse, profonda Francia rurale : il tipico posto in cui la baguette va rigorosamente portata sotto braccio e le galline che cantano fanno le uova. Dopo un percorso scolastico encomiabile per la sua epoca (frequenta la scuola fino a 13 anni!) e una carriera mancata come fornaio, Ferdinand Cheval si rende conto che per portare il pane a casa non c’è bisogno di produrselo da sé ma si può scegliere anche un altro mestiere. Il 12 luglio 1867, all’età di 31 anni, presta solenne giuramento per assolvere le funzioni di postino. Ferdinand Cheval diviene il Facteur Cheval.
Bella la vita del postino : con la pioggia o il bel tempo, vicino o lontano da casa, lui è sempre in giro a portare lettere e pacchi. Con il furgoncino ? No, non è ancora stato inventato. In bicicletta ? Nemmeno la bicicletta è ancora stata inventata. A cavallo ? E’ un postino, mica un ambasciatore. Il Facteur Cheval si sposta a piedi. Ed è proprio durante una camminata per rientrare a casa dal lavoro, un bel giorno dell’aprile 1879, che un provvidenziale capitombolo segna l’inizio della sua impresa straordinaria. Invece di maledire il creato per essersi trovato gambe all’aria, il Postino Cavallo vuole capire su cosa è inciampato. Si tratta di un sasso, ma non un sasso qualunque (ora vi sfido a darmi la definizione di “sasso qualunque”). La forma della piccola pietra è talmente particolare da colpire subito l’immaginazione del Facteur Cheval, che decide di prenderla con sé. Ma la cosa non finisce lì. Animato da un intrattenibile entusiasmo, i giorni seguenti Ferdinand Cheval inizia a dedicare tutto il suo tempo libero alla ricerca di pietre simili, e a servirsene per costruire vicino alla sua casa a Hauterives una fontana, poi un’altra fontana, poi una grotta tra le due fontane, poi degli animali in cemento…
Gli anni passano, la follia creatrice non demorde, i compaesani pensano che il provvidenziale capitombolo abbia fatto perdere qualche rotella al Facteur Cheval, i viandanti stranieri rimangono affascinati dalla sua scultura che diviene sempre più monumentale.
Trentatre anni di lavoro e più di 3500 sacchi di calce per realizzare un’opera indefinibile, immune a qualsiasi categorizzazione artistica. E’ il sogno del Factor Cheval, il suo Palazzo Ideale. Al suo interno e al suo esterno sono ammassate statue antropomorfe e zoomorfe, modelli in scala di templi egizi e indù, incisioni poetiche, mini baite svizzere, capitelli, soffitti decorati con conchiglie e lumache… Insomma, un allucinante ammasso artistico da esplorare esternamente con l’occhio ingenuo del bambino e internamente con il lanternino dello speleologo.
Dal 1912, anno della sua ultimazione, si sono fatti avanti diversi pretendenti a rivendicarne la parentela artistica. Dalla banda dei surrealisti capeggiati da André Breton, che vi farà visita a più riprese, ai partigiani dell’Arte Grezza, che vi vedono invece una perfetta espressione dell’arte a briglie sciolte, pura, libera da vincoli intellettuali o accademici. Nel 1969, lo scrittore e politico francese André Malraux riconoscerà nel Palais Idéal un motivo persino di orgoglio nazionale, considerandolo come unico esempio al mondo di architettura naïf . Non mi immagino cosa sarebbe accaduto se il Facteur Cheval, nel fatidico pomeriggio dell’aprile 1879, invece che su un sassolino fosse scivolato sulla classica buccia di banana…
Bella la storia e, soprattutto, narrata bene…
Cesare
Affascinante la storia e da vedere l’opera….mi hai messo curiosità. Capito spesso in
Francia e sicuramente ne terrò conto. Grazie!!!!
Gianna Bucelli
Grazie della storia che non conoscevo, incollo qui sotto questo articolo su Sam Rodia e le sue torri che si può aggiungere alla serie dei creatori solitari.
Sam Rodia e le bizzarre Watts Towers di Los Angeles, che costruì da solo in 30 anni
By ROBERTO BONZIO | Published: APRIL 14, 2008
Sam Rodia
Era l’aprile 1977, quando il National Register of Historic Places inseriva nel suo elenco di luoghi storici da tutelare uno dei piu’ bizzarri monumenti degli Stati Uniti: le Watts Towers, nell’omonimo distretto di Los Angeles. Un intreccio di 17 diverse strutture, la piu’ alta delle quali supera i 30 metri, costruite con materiali di scarto: pezzi di ferro decorati con cemento, cocci, ceramiche e conchiglie.
A realizzarle, da solo nel tempo libero, in trent’anni di lavoro tra gli anni Venti e Cinquanta, un immigrato italiano, Sam Rodia (1879-1965).
La sua storia e’ stata raccontata in un documentario, “I Build the Tower”.
“Perche’ le ho costruite? Non so dirlo. Perche’ un uomo realizza i pantaloni? Perche’ fa delle scarpe?”, diceva Rodia, nato a Ribottoli (Avellino) nel 1879. Che dal documentario emerge come una figura controversa, tra genio e follia, che ha proiettato nella sua bizzarra opera un sentimento di riscatto umano e sociale, iniziando a lavorarci dopo un periodo di forte sbandamento in cui era diventato un vagabondo alcolizzato . Ostinandosi a proseguire nella sua opera malgrado l’ostilita’ di molti, tra cui i vicini, che ne fecero bersaglio di atti vadalici. Specie durante la seconda guerra mondiale, quando era stata fatta circolar la voce che quelle strane costruzioni nascondessero antenne radio per comunicare con i nemici giapponesi.
Quando nel 1954 Rodia abbandono’ le Torri per far ritorno nella zona di San Francisco dove nel 1906 da ragazzo era sopravvissuto al terribile terremoto, la sua opera fu ad un passo dall’essere demolita perche’ considerata pericolante. Ma l’ordinanza non venne per fortuna eseguita.
Le Watts Towers non furono sfiorate dai violenti disordini razziali scoppiati nel quartiere, ormai un ghetto di neri americani, nel 1965. Ormai erano considerate un simbolo di liberta’ e spirito d’iniziativa individuale dalla comunita’. Diventando monumento nazionale 12 anni dopo.
Anche se pochi conoscono la sua storia, quasi tutto senza saperlo hanno visto il suo volto. Morto a Martinez, California, il 17 giugno 1965, Simon Rodia è stato immortalato infatti nella celebre foto di gruppo della copertina forse piu’ famosa della storia del pop, quella di Sgt. Pepper’s Lonely Heart Club Band dei Beatles, dove spunta in alto a destra proprio dietro a Bob Dylan..
A suo modo, Rodia e’ diventato un’icona pop. Ha ispirato libri e programmi tv, a lui e’ anche intitolato un festival jazz. Mentre la sua frase “I Build the Tower” e’ stata anche trasformata in tormentone da una canzone rap. E una citazione alle Watts Towers compare anche in una canzone dei Red Hot Chili Peppers.
questo è l’indirizzo del filmato su you tube