Confesso che ero andato al Pirelli Hangar Bicocca per vedere un’altra cosa, le tre installazioni di Maurizio Cattelan presentate temporaneamente nell’ambito della mostra Breath Ghosts Blind : la pubblicità fatta all’evento prometteva grandi emozioni, sicché le mie aspettative erano altrettanto elevate. Una volta però giunto sul posto, e colto da profonda delusione davanti allo stormo di piccioni finti appollaiati nel buio – è Cattelan, bellezza… – decidevo di visitare le altre sezioni di questa vecchia fabbrica di locomotive alla periferia di Milano, dal 2004 riconvertita in spazio adibito a mostre e manifestazioni artistiche.
Così, aggirandomi tra immensi stanzoni, oscuri corridoi e navate industriali, scoprivo che quella domenica pomeriggio il destino aveva in serbo per me una piacevole sorpresa, capace persino di lenire il piccolo insuccesso appena subito. Arrivato infatti nell’area principale del capannone, mi trovavo al cospetto del pezzo forte della collezione permanente : I Sette Palazzi Celesti 2004 – 2015 dell’artista tedesco Anselm Kiefer, presente nel Pirelli Hangar Bicocca fin dal momento della sua inaugurazione. Come definirlo ? Non è una scultura ; non è una composizione architettonica ; e non è nemmeno un’installazione nel senso abituale del termine. I Sette Palazzi Celesti 2004 – 2015 è un ibrido artistico, è un’opera che include design, pittura e scultura, è una delle più folli e mastodontiche creazioni contemporanee ; insomma è qualcosa fuori dalle norme, qualcosa di monumentale.
Sette torri in cemento armato di altezza variabile, da 13 a 19 metri, disposte l’una di seguito all’altra, in ordine apparentemente casuale al centro del vastissimo salone, e con dei vistosi dipinti a contorno. A guardarla in maniera superficiale, si tratta d’una serie di costruzioni più piccole dentro una costruzione più grande, un gioco di scatole cinesi in formato gigante, e nonostante tutta la nostra buona volontà, nonostante tutti gli sforzi immaginativi che il visitatore più condiscendente sia disposto a fare, risulta impossibile trovarvi un minimo tocco di grazia : pare ciò che resta di un edificio bombardato. Con Kiefer, però, l’arte nasce proprio da questo, da una miscela di solitudine e lontani ricordi, dal cumulo di macerie cui era ridotto il suo paese al termine della seconda guerra mondiale.
Artista della memoria, della ricostruzione, del ritorno alla vita, Anselm Kiefer appartiene alla generazione anno zero, quella cresciuta tra case sconquassate e calcinacci : nato in una cittadina della Germania meridionale nel marzo del 1945, pochi mesi prima che l’invasione delle truppe alleate mettesse fine al regime nazista, fu giocando nei terreni devastati dalle bombe ed erigendo improbabili edifici con materiali di recupero che sviluppò ancora giovanissimo notevoli abilità manuali, e soprattutto precoci aspirazioni artistiche. Dopo infatti un breve passaggio alla facoltà di legge, nel 1961 si iscrisse all’accademia di belle arti di Friburgo, poi a quella di Karlsruhe, dove si specializzò in pittura sotto la guida del maestro Peter Dreher.
I suoi primi lavori di rilievo negli anni ’70 erano delle maestose rievocazioni di miti e tradizioni della cultura germanica, grandi tele dipinte che celebravano le imprese di Sigfrido e la saga dei Nibelunghi, e questo, nel clima teso dell’epoca, costò al giovane artista critiche poco entusiaste, se non addirittura sospetti di filonazismo. Era dura, in un paese ancora scottato dalla terribile esperienza del conflitto mondiale, anche solo fare allusione a narrazioni e simbologie che ricordassero l’ideologia hitleriana.
Kiefer tuttavia continuò la strada intrapresa, continuò a esplorare l’antichità teutonica popolata da eroi e gesta sovraumane, impiegando nella propria ricerca procedimenti disparati : oltre alla pittura, si dedicò alla fotografia e alla produzione di libri d’arte. Grazie poi alla sperimentazione di tecniche inedite, nonché alla concezione dell’arte quale campo di riflessione interdisciplinare trasmessagli da Dreher, piano piano iniziò a covare dei progetti molto ambiziosi. A guidarlo, pensate, era il desiderio di sorpassare i confini tra le diverse forme espressive, il desiderio d’opera d’arte totale di wagneriana memoria. Ceneri, terra, paglia, ferraglie, vecchi stracci e altri oggetti di scarto divennero la base per le sue creazioni, le quali si orientarono verso un’indagine travagliata e dolorosa della Storia nazionale.
L’artista passò dalle suggestioni del lontano passato mitologico agli orrori di quello più recente, le difficoltà del dopoguerra, il Terzo Reich, la Shoà, lasciandosi altresì influenzare da correnti filosofiche di varie epoche e origini, tra le quali, anzitutto, il pensiero mistico ebraico. Negli anni ’80, infatti, in occasione di una mostra personale presso un museo di Gerusalemme, Anselm Kiefer effettuò un viaggio in Israele che gli permise d’approfondire le proprie conoscenze della cultura ebraica, in particolar modo gli insegnamenti esoterici della Cabala, al punto che la sua produzione artistica successiva ne porterà tracce molto significative. Nel 1989, da poco eletta come luogo di lavoro una desueta fabbrica di laterizi nella regione tedesca del Baden-Württemberg, realizzò una serie di sculture chiamata Palazzi celesti e dedicata all’immaginario mistico giudaico, mentre qualche anno più tardi, profondamente impressionato dalla lettura del poeta rumeno d’origine ebraica Paul Celan, dipinse una collezione di cieli stellati in cui convergevano eredità culturale cristiana, cabala e sapere scientifico.
I Sette Palazzi Celesti 2004 – 2015 esposto all’interno del Pirelli Hangar Bicocca rappresenta allora un punto di sintesi nella carriera di Kiefer, dato che riprende, adattandole al nuovo contesto, molte delle tematiche maturate nel corso di tutta la sua evoluzione creativa. Progettata specificamente per il luogo in cui è inserita, l’opera trae molta della propria forza dall’imponenza del Pirelli Hangar Bicocca, del quale diviene il prolungamento ideale : come se lo stesso cemento, lo stesso metallo, lo stesso legno di cui è fatto il vecchio capannone rimodernato fossero serviti all’edificazione di quelle torri sbilenche e inagibili, e il passato industriale di Milano rivivesse sotto forma di creazione artistica. Dove una volta si producevano treni, ora si produce qualcosa d’immateriale : ora si produce del senso.
Rifacendosi quindi al Sefer Hekhalot, il “Libro dei Palazzi/Santuari”, antico trattato ebraico del quinto secolo d.C. nel quale viene descritto il simbolico percorso d’iniziazione spirituale di colui che vuole avvicinarsi a Dio, l’artista erige sette torri, ciascuna con un nome e un significato propri. Sono Sefiroth, Melancholia, Ararat, Linee di campo magnetico, JH & WH e la Torre dei quadri cadenti ; sono moduli in cemento armato impilati l’uno sull’altro grazie all’utilizzo di container blu e rossi come casseforme ; sono cataste di materiali sparsi, libri e cunei di piombo, strisce di vetro e di carta, scritte al neon, massi di pietra, cornici in legno gettate al suolo… e sono i pensieri, i ricordi, i demoni che Anselm Kiefer gioca a scomporre e ricomporre come elementi scenografici d’uno spettacolo del teatro dell’assurdo. E non importa se molti dei rimandi a fondamenti culturali e vicende storiche rimangono al pubblico oscuri : questa, d’altronde, è la sfida dell’arte contemporanea.
adoro scoprire qualcosa di totalmente inaspettato dopo una delusione