Pochi giorni fa ho ricevuto lo scritto di una mia lettrice, Eva Colombo, appassionata d’arte e autrice di un sito d’argomento letterario. Non si tratta propriamente di un racconto, lei preferisce definirlo una fantasia : la descrizione a parole di una visione, uno stato d’animo, un pensiero ispiratole da un dipinto scoperto alla mostra Arte e Magia in corso al Palazzo Roverella di Rovigo. Il quadro s’intitola Crepuscolo ed è un olio su tela realizzato nel 1902 da Hugo Hoppener, pittore e illustratore tedesco meglio conosciuto con lo pseudonimo di Fidus. Il dipinto appartiene a una collezione privata, e malgrado abbia scandagliato i più impensabili meandri del web purtroppo non sono riuscito a reperirne alcuna riproduzione digitale, nemmeno di bassa qualità. La prosa di Eva Colombo è comunque molto potente ed evocativa (scrivessi io come lei !), mi fa pertanto davvero piacere ospitarla sul mio blog. Nel caso qualcuno di voi, cari lettori, riuscisse nel frattempo a recuperare l’introvabile quadro di Fidus, lo invito caldamente a comunicarmelo così da permettermi di completare il post. Buona lettura.
Eva Colombo, La benedizione del legno rosso, capitolo primo: Crepuscoli
( olio su tela incollata su cartone di Hugo Hoppener detto Fidus, 1902 )
Una veranda, due lanterne, una balaustra di legno rosso. Le mie mani si appoggiano a questo legno rosso, forse tra poco vi si aggrapperanno perché ho sentito l’odore dell’acqua nell’aria. Nuvole, nuvole gonfie di pioggia stanno correndo verso di me sospinte da un vento complice. La tempesta mi ha riconosciuta, sa che io sono sua sorella. Il mio vestito una nuvola, le perle della mia collana gocce di pioggia, i miei capelli l’ala cupa del vento, i miei occhi… i miei occhi il baluginio del lampo… però i miei occhi sono umani, sono anche umani. Sì, i miei occhi umani cercano la luce delle lanterne, i miei occhi oltreumani cercano il bagliore del crepuscolo che sta rapidamente cedendo al fascino tenebroso della tempesta. Il mio profilo resta sospeso sopra la balaustra mentre i miei occhi non sanno decidere quale delle due luci vogliono riflettere, quale delle due luci preferiscono trascinare nel loro specchio abissale. Le mani ora stringono il legno rosso perché l’odore della pioggia tempesta le mie narici oltreumanamente sensibili…invece le mie mani sono umane, troppo umane. Hanno paura della tempesta, vogliono avvincermi ai manufatti umani, vogliono garantirmi un saldo ancoraggio alla casa pensando che questo sia il mio bene. I miei occhi umani ora fissano la lanterna, anche loro pensano che il mio bene sia il fuoco addomesticato dagli esseri umani. Ma una scintilla del selvaggio fuoco del lampo arde nel fondo di quegli stessi occhi… Basta, ora li chiudo. Sento scrosciare la pioggia, sento l’odore dell’acqua, sento che è questo il mio bene. Ho bisogno del suono dell’acqua come ho bisogno di respirarne l’odore… e restare così, da sola… Quando l’acqua non scende dal cielo vado a cercarla sulla terra. Sì, dico davvero: ho un bisogno fisico di avvicinarmi all’acqua. Ogni giorno cerco il suono dell’acqua: una cascata, una fontana non sommerse dal frastuono umano. E ascolto.
Ogni giorno cerco l’odore dell’acqua: la terra umida, la pietra bagnata, l’erba macerata non sopraffatte dai miasmi umani. E respiro. Che questo per me sia nutrimento vitale troppi esseri umani non vogliono accettarlo. Sono una donna ancora giovane e – dicono – bella. Non può essere il mio bene questo isolarmi in luoghi pericolosamente appartati assumendo atteggiamenti fastidiosamente indecifrabili. I predatori sono in agguato, le maldicenze – “quella là non è a posto” – sono nell’aria. Può darsi che questi esseri umani abbiano ragione, probabilmente ce l’hanno… Ma io non ho scelta. Per vivere devo necessariamente trovare un po’ di tempo, ogni giorno, per ascoltare l’acqua e respirarne l’odore. Capirete che questo tempo, quasi sempre, riesco a trovarlo solo quando è buio e la stragrande maggioranza degli esseri umani si tiene ben alla larga dall’acqua che scroscia e dagli argini terrosi che ne esalano il sentore… Io ascolto l’acqua e guardo il buio e sono me stessa. Non ci sono sguardi umani che prelevano la mia bellezza per costringerla in alienanti schedari, non ci sono parole umane che trascinano i miei pensieri in strade senza uscita. È pericoloso per la società che una donna sia sé stessa: così pensano in troppi.
Allora innalzano cancelli e stendono reti costringendomi a sguisciare lungo margini affilati, costringendomi a pericolare sull’orlo dell’abisso per cercare ciò di cui ho bisogno per vivere. Così se un giorno io dovessi rovinare dentro quell’abisso questi “troppi” esclameranno trionfalmente: ecco, ciò di cui si alimentava quella là porta alla morte! No, ciò di cui si alimenta la mia anima porta alla vita, una vita decisamente diversa rispetto a quella dei “troppi”, ma pur sempre una vita. Ora la tempesta ha spalancato un abisso davanti alla veranda e vi sta danzando intorno con gioia feroce: cerca di afferrare la mia mano per trascinarmi nel vortice di quella danza oltreumana. Mi ha riconosciuta, sa che sono sua sorella. Vieni con me, mi dice. Dammi la mano. Insieme scaraventeremo il cielo sulla terra, faremo divampare il fuoco tra gli scrosci dell’acqua. Svelleremo i cancelli, sradicheremo le reti. Trasformeremo il crepuscolo in alba, la notte in giorno. Il tempo sarà finalmente nostro, e anche lo spazio. Noi saremo la norma e i “troppi” l’anomalia da emarginare. Vieni con me, accanto a me troverai ciò che nutre la tua anima senza essere costretta a giustificarti, a difenderti, a nasconderti… Il vento freddo si insinua sotto la mia mano, cerca di strapparla dal legno rosso della balaustra. Il legno rosso è caldo, è caldo del sangue umano che scorre nella mia mano… io sono un essere umano, sono anche un essere umano… il legno rosso lo sa, e mi trattiene, e mi protegge. Sono un essere umano e sono sorella della tempesta. Aggrappata al legno rosso, vivrò.
I miei complimenti più sinceri!
Uno scritto bellissimo!
Grazie di cuore