Ci sono luoghi, nelle grandi città, che mi provocano una suggestione pungente e un poco malinconica, simile a una leggera scarica elettrica alla bocca dello stomaco. Le stazioni ferroviarie. Mi piacciono, le stazioni. Non tanto per la loro architettura, i treni in partenza e in arrivo oppure l’indaffarato viavai di persone che brulicano alle porte d’ingresso, in coda alle biglietterie, vicino ai binari : delle stazioni, badate, mi piace l’idea. L’idea di movimento, di dinamismo, d’azione : dell’essere qui, all’instante presente, ma già proiettati nell’altrove, in un’altra città, magari a centinaia di chilometri di distanza.
Luoghi di transito, di traffico, d’incontro, di addio, le stazioni sono i monumenti di un’epoca forse scomparsa, quella dei discorsi ad alta voce e degli annunci all’altoparlante – prima che i tuit, le snap e i coccodè a centoventi caratteri s’imponessero nell’immensità dello spazio profondo.
La mia suggestione, ne sono consapevole, è viziata da letture romantiche e vecchi film in bianco e nero, oltre che da una frequentazione abbastanza saltuaria di questi luoghi. Facessi la vita del pendolare, tra ritardi, calche sui treni e spintoni, delle stazioni avrei sicuramente tutt’altra opinione. Perché oggi me ne esco con queste riflessioni da Baci Perugina ? Deve essere la canicola estiva, credo, il sole che mi picchia sulla testa provoca pensieri bizzarri, associazioni di ricordi vicini e lontani da cui può tuttavia scaturire qualche felice intuizione…
Le stazioni, parlavamo delle stazioni. Oltre a riunire per brevi momenti indaffarati viaggiatori e precipitarmi in fumose divagazioni, gli scali ferroviari delle grandi città sono spesso scelti come aree espositive, luoghi d’arte all’aria aperta. Avrete probabilmente notato che negli spazi circostanti diverse stazioni si trovano sculture, statue o grandi installazioni di materiali eterogenei : il caso dell’Ago, filo e nodo della Stazione Ferroviaria Cadorna, a Milano, oppure de La Tigre della Stazione Centrale di Oslo. Arte da consumarsi in fretta, senza perderci troppo tempo, una rapida occhiata e via che si perde il treno !
La scultura in cui mi sono recentemente imbattuto, io turista con il naso per aria, si trova nella Place Napoléon III di Parigi, proprio davanti alla Gare du Nord, la stazione da cui partono i treni diretti in tutta la Francia settentrionale fino all’Inghilterra (con i suoi 700 000 viaggiatori quotidiani pare che sia la prima stazione d’Europa, ma questa è una voce messa in giro dai parigini…). Angel Bear consiste in una composizione metallica eretta pochi anni fa, nel novembre 2015, realizzazione dell’artista francese Richard Texier : un orso alato alto più di 7 metri e mezzo e pesante quasi 5 tonnellate che sembra squagliarsi al sole, disintegrato dagli effetti disastrosi del riscaldamento climatico.
Creatura fantastica, inquietante, tormentata e possente, l’Angel Bear di Texier è chiaramente un’opera militante, grido d’allarme di un ecologismo disperato, fauna morente in una giungla d’asfalto, di ferro e di fibra ottica. Quando l’ho visto, questo orsacchiotto gigante dalle zampone che paiono dei sandali in gomma, per lo più ignorato dal velocissimo traffico di passanti e automobili, mi ha fatto tenerezza. Avete presenti i mega peluche in vendita nei grandi magazzini ? Ecco, la scultura davanti alla Gare du Nord di Parigi mi ricordava quasi uno di… mi fermo prima di spararla grossa : il caldo di oggi mi sta giocando davvero dei brutti scherzi.