Il Grande Arco

Ogniqualvolta percorro l’autostrada che dal traforo del Frejus porta a Grenoble, solitamente al calare della sera, poco prima d’immettermi nella valle dell’Isère, me lo trovo conficcato tra le montagne. Quale un meteorite precipitato al posto giusto, o quale un vulcano ormai spento, o quale l’autentica barriera invisibile tra il di qua e il di là, tra casa nostra e casa loro, tra la Francia e l’Italia (come se poi esistessero ancora un noi e un loro, un io e gli altri).

Il Grande Arco

Eccolo, mi dico, leggendo l’opportuno pannello a margine dell’autostrada : il Grande Arco fatto di roccia e radici, di neve e di polvere ; il Grande Arco teso verso il cielo, oltre le nuvole, pronto scagliarsi nell’infinito spazio cosmico. Chi l’ha trovato, mi chiedo, chi ce l’ha messo, ancorato nella spessa catena montuosa, un simile mastodonte di pietra ? Solitamente lo stupore si limita a quei minuti scarsi, interrotti da brevi passaggi nelle gallerie, prima che i miei pensieri vengano nuovamente ingolfati dalla preoccupazione di arrivare a destinazione senza dover fare rifornimento di benzina (ognuno d’altronde ha le sue piccole manie).

Saggittario - Čiurlionis
Zodiaco – Il sole passa il Segno del Saggittario
Mikalojus Konstantinas Čiurlionis
1906 / 1907. Tempera su carta

Intanto che il tachimetro dell’automobile segna 110, forse 120 kilometri orari perché sono in discesa, mi viene spontaneo levare il piede dall’acceleratore e spostare lo sguardo, dalla strada verso le montagne. Un rischio che vale la pena di correre, quegli istanti in cui la mia attenzione è distolta dalla guida della macchina per vagare tra i distanti cucuzzoli. Eccolo, di nuovo, lo vedo, il Grande Arco : un promontorio accessibile anche agli alpinisti meno temerari che è diventato il punto di riferimento delle mie lunghe traversate in automobile, quale l’Orsa Maggiore poteva esserlo per i marinai dei tempi antichi persi nel buio della notte e dei flutti.

Non ci vuole un occhio di falco per riconoscerlo, il Grande Arco, enorme parentesi graffa distesa, ma vorrei sapere chi fu il primo a scoprirlo, il primo che fu in grado di distinguerne i netti contorni nella continua informità delle montagne circostanti. Forse che a lui dobbiamo la paternità, se davvero di paternità si può parlare, di questa mirabile opera della Natura ? Oppure il discorso va affrontato al contrario, dando la precedenza a lei, alla Natura, madre di tutto il creato, artefice di qualsiasi Orsa Maggiore impressa nel cielo, di qualsiasi Grande Arco incastonato tra le Alpi, e relegando noi uomini a semplici curiosi, esploratori, buoni tutt’al più a nominare, dare un nome a qualcosa che crediamo di (ri)conoscere ma che in realtà ci oltrepassa ?

Dove non arriva la Natura arriva l’arte, sostiene qualcuno, e quando accade che Natura e arte si incontrino nasce quel curioso connubio recentemente chiamato land art, l’arte del paesaggio. Una forma d’espressione artistica che mette a dura prova i puristi di pennello e scalpello, la land art, ma che negli ultimi anni pare aver conquistato sempre più adepti. L’arte è nei boschi, nei laghi, nei campi e tra i monti, l’arte segue il corso dei fiumi per gettarsi poi nei mari : a noi artisti del quotidiano il semplice compito di saperla individuare, e possibilmente rispettarla nella sua felice integrità. Invece di dipingerlo su tela, o scolpirlo nella pietra, lasciamo allora il Grande Arco là dov’è, a disposizione di tutti, nel magnifico museo a cielo aperto che sono le Alpi francesi.


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