Il post di oggi esce fresco fresco dalla visita che ho fatto sabato pomeriggio al Museo di Arte Contemporanea di Lione (noto anche come MAC visto l’inspiegabile amore dei francesi per gli acronimi). Cosa c’era di così interessante al MAC ? Tre esposizioni di tre artisti di nazionalità differenti. Un tedesco, un cinese e una francese di origine marocchina. A parte il fatto di avere ognuno un nome più impronunciabile dell’altro (Latifa Echakhch, Huang Yong Ping, Gustav Metzger), credo che i tre abbiano ben poco in comune tra loro. Ma questo non mi pare un demerito della mostra. Anzi. E’ stato come mangiare in successione tre piatti deliziosi ma che non hanno nulla a che fare l’uno con l’altro. Una fettina di salmone affumicato, una porzione di fonduta savoiarda e un pezzo di torta sacher. Mmm… Vi sta venendo fame ? Pure a me, forse anche perché è l’ora di pranzo. Ora però bando alle ciance, qui si parla (…) di Arte.

Latifa Echakhch
2012
Non me ne vogliano il cinese e il tedesco se non mi concentro su di loro ma oggi ho voglia di parlare della loro collega franco marocchina, che con i suoi 39 anni è la più giovane dei tre. Rapidissima sintesi biografica. Classe 1974, marocchina di origine e francese di adozione, Latifa Echakhch si è formata alle scuole d’arte di Grenoble e di Lione prima di iniziare a esporre le sue opere in giro per il mondo: Francia, Italia, Israele, Svizzera, Stati Uniti… Malgrado le sue opere non abbiano nulla di grafico, niente scritte, niente slogan, niente testi, niente caratteri, Latifa Echakhch dice di amare le parole, tanto che se non avesse trovato i mezzi di esercitare il mestiere di artista avrebbe scritto delle poesie. Un po’ come Bill Clinton e la sua passione per il sassofono. No, un momento, Bill Clinton non c’entra niente. Scusatemi l’insulso paragone. Latifa Echakhch è piuttosto attirata dalla materia di cui sono fatte le parole, la loro dimensione solida, il loro supporto visivo. In che senso? Guardate, il discorso è meno cervellotico di quanto io sia in grado di ingarbugliarlo. Latifa Echakhch è affascinata dalla materia di cui, prima che arrivassero i computer, internet, i giornali online, gli e-book etc… erano fatte le parole scritte. Latifa Echakhch è affascinata dall’inchiostro. Non a caso una delle sue opere più famose e a questo titolo più eloquenti si chiama Mare d’inchiostro. Dei cappelli a bombetta, proprio come quello di Charlot, gettati a terra in maniera casuale e riempiti a metà di inchiostro nero. Una chiara metafora della figura del poeta la cui ispirazione si appresta a essere versata per prendere forma, dice il volantino della mostra. E se lo dice il volantino della mostra, inchiostro nero su carta bianca, opera di chissà quale esperto d’arte, evidentemente è così.

Latifa Echakhch
2012. Inchiostro nero su tela
Più spiazzanti delle bombette piene d’inchiostro sono i quadri della serie Tamburo. Delle grandi tele tonde dal diametro di 173 cm su cui l’artista ha fatto cadere delle gocce d’inchiostro nero fino a formare delle circonferenze proporzionali alla durata dello sgocciolamento. Bianco/nero, colore/tela, materia/vuoto. Questi quadri ricordano degli occhi umani che ci guardano o dei buchi neri in cui i nostri occhi si perdono. Oppure, a quelli che si sono ripassati la lezione di storia dell’Arte, la tecnica del dripping con cui gli esponenti dell’Action Painting americana schizzavano e macchiavano le loro tele.

Latifa Echakhch
2012. Inchiostro nero su tela
Mi domando che effetto ottico farebbero queste tele tonde con una macchia nera al centro se si mettessero a girare. Probabilmente l’effetto di delle tele tonde con una macchia nera al centro che girano. Sciocchezze a parte, se siete curiosi di vedere un’intervista a Latifa Echakhch, qui ne trovate una in inglese sottotitolata in italiano. Buona visione.