Inutile nasconderlo. Da qualche tempo a questa parte, faccio sempre più fatica a trovare spunti, motivi, pretesti che mi stimolino a buttare giù anche poche righe da pubblicare su questo blog. Come se avessi perduto il vecchio entusiasmo ; come se qualcosa in me si fosse atrofizzato ; o come se ciò che sta là fuori, ciò che sta nei musei, nelle sale d’esposizione, nelle gallerie d’arte, l’offerta culturale genericamente intesa, non fosse più in sintonia con il mio vivere appartato. Forse colpa mia, colpa della mia pigrizia nel deviare dalle piste già battute, nel cercare novità ? E pensare che basterebbe poco, solo lo sforzo d’uscire di casa…
Ma nonostante la misteriosa apatia di cui sono finito prigioniero, mi capita talvolta, in contesti lontanissimi dall’abituale circuito artistico, di essere colto da minuscoli incidenti, piccole illuminazioni, felici sorprese che paiono scaturire dal nulla. E a quel punto l’effetto provocato è oltremodo dirompente.
L’ultima manifestazione di questo curioso fenomeno risale a un paio di settimane fa, quando per lavoro mi trovavo nei locali di un ente pubblico dedicato alla protezione dell’infanzia – faccio un lavoro che mai immaginereste, e che ora non mi prenderò la briga di spiegarvi. In un luogo del genere, a metà strada tra asilo nido e ambulatorio pediatrico, le sole opere d’arte che di solito vengono esposte sono vecchi poster raffiguranti scene favolistiche o disegni a matita e pennarello realizzati da qualche bambino particolarmente estroso : insomma roba del tutto in linea con l’ambiente circostante. In quel caso, tuttavia, alla parete di una stanza qualcuno aveva avuto l’idea d’appendere la riproduzione fotografica di un dipinto che con pappe, ciucci e pannolini c’entrava come i cavoli a merenda.

Caspar David Friedrich
1822. Olio su tela
Era il ritratto di un albero dai rami spogli e rinsecchiti che si staglia scuro su un paesaggio brullo, tipico delle latitudini nordiche ; era la lontana veduta di un litorale marino, presa dall’alto di un promontorio ; era la splendida e dolorosa immagine di un tramonto d’autunno, se non addirittura d’inverno. In basso al riquadro erano indicati il titolo e l’autore dell’opera, ma non vi nascondo che ancor prima di leggerli avevo già intuito in quale sfera dell’arte il dipinto si collocava : perché il tocco di Caspar David Friedrich, anche per uno sprovveduto come me, è qualcosa che si riconosce facilmente.
Il quadro, uno dei pochissimi dell’artista tedesco a essere conservati in Francia, nella fattispecie presso il museo del Louvre di Parigi, fu realizzato nel 1822, quando Friedrich era alle soglie dei cinquant’anni e all’apice del successo, supportato nientemeno che dalla famiglia imperiale russa. Lui, uomo schivo e introverso, amante delle passeggiate solitarie nelle foreste germaniche e lungo le coste baltiche, aveva elaborato uno stile pittorico originalissimo e in aperta rottura con la tradizione, tanto da divenire uno dei massimi punti di riferimento della nascente corrente romantica.
Dipingeva paesaggi, Caspar David Friedrich, dipingeva colline, montagne, vedute marine, ruderi dimenticati tra i boschi ; dipingeva la propria terra natale come prima nessuno l’aveva mai dipinta. A contraddistinguerlo, oltre a un uso del colore molto suggestivo, era la maniera innovativa d’osservare e interpretare gli spazi incontaminati, i fenomeni del mondo, la forza dirompente della natura. L’attenzione al dettaglio e lo scrupolo realista in Friedrich andavano di pari passo con una forte impronta personale : come se egli aggiungesse qualcosa, ai soggetti ritratti, qualcosa che non si vede ma si percepisce, qualcosa che sfugge all’occhio per andare a toccare le corde dello spirito.
Alcuni critici, commentando i suoi lavori, arriveranno a parlare di misticismo, però non si trattava esattamente di misticismo ; era la potentissima evocazione visiva, sotto forma di comuni elementi naturali, di sentimenti propri all’animo umano. Ne L’albero dei corvi, pertanto, la grossa quercia disadorna di foglie e i tronchi mozzati che la circondano rimandano alla morte, alla paura dell’ignoto, mentre il cielo rischiarato dalla luce del sole calante è un’apertura verso l’altrove, verso l’eternità della vita ultraterrena. Concepito duecento anni fa, il dipinto di Caspar David Friedrich pare sempre d’attualità.